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"Per arrivare fino a cent'anni la medicina si chiama vita sana"

Il farmacologo ha 89 anni ma lavora come a 40: «Niente fumo al parco e allo stadio. Ho detto no alla politica: mi caccerebbero dopo 15 giorni»

"Per arrivare fino a cent'anni la medicina si chiama vita sana"

Non è il classico scienziato in camice bianco. Ma di bianco ha l'immancabile dolcevita, che non abbandona mai. Fondatore dell'istituto di ricerca Mario Negri, appartiene a Gruppo 2003 , consesso di ricercatori italiani che siede ai tavoli scientifici mondiali . A 89 anni il farmacologo Silvio Garattini ha la lucidità di un 40enne. E la stessa passione nel voler affermare la verità della scienza. Certo, forse mai avrebbe pensato di doversi scontrare con Internet e con la marea di bufale sanitarie che spopolano on line. Però è abituato ad andare contro la falsa-informazione. E per questo è stato il ricercatore più minacciato e insultato d'Italia: dagli animalisti prima, dai dibelliani poi, dai sostenitori dell'omeopatia e ora dagli anti vaccinisti.

Garattini, quante minacce avrà mai ricevuto nella vita? Ha mai avuto paura?

«No, paura non l'ho mai avuta. Certo, le minacce sono state parecchie. Il ricercatore non deve rimanere nella sua torre d'avorio ma far capire alla gente cosa fa, perché lo fa. Deve anche rispondere a idee che, per quanto legittime, la scienza ha il dovere di correggere».

Però le suggestioni irrazionali, dal movimento degli anti vaccinisti alle cure oncologiche alternative, hanno molto più appeal della scienza.

«La scienza non è ancora entrata nella cultura italiana. A scuola ci insegnano i contenuti della chimica e della fisica ma non i principi che poi stanno alla base dei giudizi che si possono dare: se uno non è stato formato a capire che stabilire il rapporto causa-effetto è una delle cose più difficili, allora prende sempre quello che capita dopo come dovuto rispetto a ciò che era prima».

Colpa degli scienziati che comunicano male?

«É colpa dei mass media. Nessuno darebbe la possibilità di scrivere un articolo a uno che sostiene che Petrarca era un pittore dell'Ottocento perché tutti sanno come stanno le cose. Invece, accanto a un articolo che dice l'omeopatia non può funzionare perché non contiene nulla, si pubblica la storia di uno che racconta di essere guarito e aver vinto le Olimpiadi grazie a un prodotto omeopatico. In campo scientifico, chi ha studiato tutta una vita viene messo a confronto - anche nei dibattiti tv - con chi esprime mere impressioni».

Il Governo tentenna sull'eutanasia. Lei cosa ne pensa?

«Non può essere decisa da una legge ma dal rapporto fra medico e paziente».

Lei è credente?

«Ho una formazione cattolica molto forte perché facevo parte della gioventù di Azione cattolica. È un'impronta che non si può cancellare».

Però non mi ha risposto.

«È complicato. Essendo ricercatori non si può essere esenti dal dubbio. La cosa più importante è l'insegnamento di Gesù che ha detto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Questa è la rivoluzione, indipendentemente dal credere o no. È un'esortazione che riguarda tutti noi».

Oltre 50 anni fa ha fondato l'istituto Mario Negri rivoluzionando il modo di fare ricerca. Come è nato il progetto?

«Era il 1957. Io avevo 29 anni ed ero professore alla facoltà di Medicina. Ho avuto la fortuna di fare un viaggio negli Stati Uniti lungo tre mesi. Lì esisteva già la professione del ricercatore, cosa che da noi non era riconosciuta. In quegli anni in Italia la ricerca si faceva accanto a tante altre attività ed era fatta principalmente per far carriera. In America esistevano tante strutture in cui si faceva ricerca, tra cui le fondazioni. Formula che mi affascinò perché, non essendo pubblica, non doveva sottostare a una serie di burocrazie e, non avendo scopo di lucro, poteva operare per l'interesse pubblico. Tornando in Italia ho detto ai miei 20 collaboratori: o andiamo tutti negli Stati Uniti o facciamo qualcosa di differente in Italia».

Quindi ci ha evitato una grossa fuga di cervelli?

«Certo. Incontrai per caso Mario Negri, un gioielliere milanese. Mi disse: sei un po' giovane ma la tua è una buona idea. Purtroppo nel 1960 si ammalò di tumore. Quindici giorni prima di morire mi chiamò e mi disse di stare tranquillo perché nel testamento aveva messo una quota per la fondazione. E mi aveva indicato come direttore dell'istituto».

Nel 1976, dopo il disastro del Seveso, lei fu accusato di aver diffuso dati che sminuivano i danni da diossina per scagionare i responsabili. Cosa c'è di vero?

«Nulla. Ero stato io a parlare agli abitanti perché nessuno aveva il coraggio di farlo. Ho detto che la loro zona era così inquinata che dovevano sfollare. Non è vero che abbiamo diminuito l'interesse sul problema, anzi».

Facciamo un salto fino al 1993, Mani Pulite. Poggiolini fu arrestato per aver favorito l'ingresso di alcuni farmaci nel prontuario sanitario dietro regalie. Toccò a lei prendere il suo posto alla commissione farmaci.

«Eravamo riusciti a fare una bella pulizia del prontuario da tutti i farmaci che non avevano alcun significato e costavano un sacco di soldi. Siamo passati da un bilancio che negli anni precedenti era di 13mila miliardi di lire a 9mila miliardi nel 1994».

É ora di fare un'altra pulizia di farmaci inutili?

«È da 24 anni che non si fa una revisione del prontuario. Sarebbe necessario. Si potrebbero eliminare moltissimi farmaci e dovremmo fare in modo che prodotti che hanno la stessa indicazione (e sono stati approvati in tempi diversi) abbiano lo stesso prezzo. A meno che non sia dimostrato che uno è meglio dell'altro».

Ci fa qualche esempio di farmaco inutile?

«Abbiamo prodotti che agiscono sul colesterolo o anti coagulanti con prezzi molto diversi ma non si può dire che uno sia meglio dell'altro. Abbiamo farmaci anti tumorali approvati più sotto l'aspetto emotivo perché non si può negare un farmaco oncologico. Ma se non sappiamo di quanto aumenta la sopravvivenza e costa decine di migliaia di euro, non vedo perché lo dobbiamo utilizzare».

Nei prossimi 20 anni riusciremo a vedere la cura contro i tumori?

«Troppe volte si è detto: fra 5 anni avremo risolto il problema. Tuttavia i progressi sono ancora lenti anche se le prospettive ci sono Non dimentichiamo che i decessi sono diminuiti. Gli unici tumori in crescita sono quelli al pancreas e al polmone, che scendono nel maschio e aumentano nella donna. Perché purtroppo le donne hanno cominciato a fumare e si sono inflitte malattie che prima non avevano».

Cosa pensa delle sigarette elettroniche?

«Se volevano far calare il numero dei fumatori, allora i risultati sono molto scarsi o non diversi da quelli che si possono ottenere con il cerotto alla nicotina. Almeno hanno un minor carico di sostanze cancerogene. Abbiamo ancora bisogno di verifiche perché ce ne sono tanti tipi».

La vera svolta anti fumo è stata la legge Sirchia. Se lei fosse ministro cosa farebbe ora?

«Ora bisognerebbe evitare di fumare nei ristoranti all'aperto, in macchina, al parco, allo stadio. E poi occorre aumentare prezzo delle sigarette, cosa che ovviamente non si fa. Da noi un pacchetto costa il doppio rispetto alla Gran Bretagna».

Ha mai pensato alla politica?

«Mi caccerebbero dopo quindici giorni. Me lo hanno proposto. Ma il mio mestiere è diverso».

Che rapporto aveva con Umberto Veronesi?

«Amici da sempre e una battaglia comune: il sostegno della ricerca scientifica. Ai tempi di Di Bella, quando qualcuno aveva accusato Umberto di aver mostrato un po' di simpatia per la cura, lo incontrai e gli chiesi: mica ti metterai in testa che si faccia una sperimentazione? Lui mi disse: sarai mica matto? Gli hanno messo in bocca cose che non pensava».

E di Rita Levi Montalcini che ricordo ha?

«Era deliziosa, aveva il pugno di ferro, nella realtà non era così mite e dolce. Quando si trattava di battaglie scientifiche era molto decisa».

Dai laboratori quale scoperta rivoluzionaria uscirà in futuro?

«Non faccio il profeta e non mi piacciono quelli che lo fanno. Tante volte si sono dette cose che non si sono verificate».

Ad esempio si è detto tanto sulle staminali. Ma funzionano?

«Per adesso non c'è niente. Abbiamo dati interessanti nei danni cerebrali e speriamo di portare dei lavori in clinica ma siamo ancora in un campo in cui stiamo imparando, non abbiamo ancora delle certezze. Dobbiamo dare un messaggio alla gente: non c'è niente che aiuta a risolvere tutti i mali, quella è solo una caratteristica dei ciarlatani. Di Bella guariva tutti i tumori, Stamina risolveva tutti i problemi delle malattie rare ma sappiamo che non si può fare».

Eppure i ciarlatani, come li chiama lei, hanno illuso parecchi malati.

«La gente dovrebbe diffidare da quelli che garantiscono in partenza risultati su tutti i tumori. Penso a quelli che sono andati a Cuba a prendere gli estratti di scorpione azzurro».

Dopo i no vax, che altri movimenti cavalca-bufale ci dobbiamo aspettare?

«Ora le battaglie sono tutte in campo alimentare dove ci sono grandissimi interessi a far figurare che determinati alimenti o sono troppo dannosi o sono la soluzione. Ora è tutto senza olio di palma. Ci dovrebbero dire però cosa usano. Poi c'è il business del senza glutine, dando l'idea che non faccia male solo ai celiaci ma a tutti per vendere di più. È in atto una corsa alla salute che fa capo esclusivamente alle logiche del mercato. E se non siamo in grado di dominare il mercato, finiamo per essere dominati da esso».

Qual è il miglior farmaco che conosce?

«Lo stile di vita: non fumare, non eccedere nell'alcool, evitare la sedentarietà, dormire regolarmente, esercitare attività intellettuali e sociali, mangiare bene».

Ha mai usato un prodotto omeopatico?

«Le rispondo come rispose Nino Frassica. In uno spot di anni fa gli offrivano una sigaretta e lui ribatteva: non son mica scemo. Ho scritto un libro per illuminare la gente in cui dico chiaramente che l'omeopatia è acqua fresca».

Eppure un'alternativa agli antibiotici andrà pur trovata. Dicono che entro il 2050 non ci faranno più effetto.

«Nessuno sa entro quando non faranno più effetto. È vero che con l'impiego eccessivo e con il loro utilizzo negli animali da allevamento abbiamo reso parecchi germi resistenti. L'Organizzazione mondiale di sanità ha lanciato un appello alle industrie perché tornino a lavorare e scoprire nuovi antibiotici».

Parliamo un po' del Garattini senza camice bianco da laboratorio. Ci racconta della sua famiglia?

«Ho 5 figli. Enrico è medico e si occupa di ricerca. Livio è laureato alla Bocconi. Delle ragazze, Maria e Giovanna, una ha lavorato tanto tempo come ufficio acquisti di una grande organizzazione e l'altra fa segretariato part-time, Michele è ingegnere elettronico».

Nipoti che sognano di diventare come il nonno?

«Silvio, come me, si sta specializzando in oncologia a Udine. Davide fa l'ultimo anno di medicina. Silvia è ingegnere a Londra. Elisabetta è laureata in Economia e Giovanni in Statistica. Ognuno ha fatto quello che gli interessava, con la massima libertà di decisione».

E sua moglie? Non facile stare di fianco a una personalità come la sua.

«La mia moglie attuale, la seconda, si chiama Anny, francese, è una persona eccezionale e che mi tollera. Ha una grande pazienza. Anche lei organizza eventi per raccogliere fondi per borse di studio per evitare che i giovani ricercatori lascino l'Italia».

Cosa legge? Di non scientifico intendo?

«Già non ho tempo di leggere tutto quello che dovrei dal punto di vista scientifico. Sul comodino non ho nessun libro, vado a letto troppo tardi».

Praticamente, a 89 anni, ha il ritmo di vita di quando era giovane. È questa la lunga vita di cui parla nel suo libro?

«Finché va, andiamo avanti. Giuro, non ho trovato nessun elisir. Credo solo negli stili di vita.

È uno dei fattori chiave della nostra vita assieme alla genetica e al caso».

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