A regola d'arte

Cristiano Leone, in un Atlante tutta la cultura della Performance

Nel volume-capolavoro dell'autore, viaggio nella storia di una forma d'arte e dei suoi significati antropologici

Cristiano Leone, in un Atlante tutta la cultura della Performance

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«Per essere un artista performativo, devi odiare il teatro. Il teatro è un impostore; è una scatola nera, paghi il biglietto e ti siedi al buio a vedere qualcuno interpretare la vita di qualcun altro. Il coltello non è reale, il sangue non è reale e le emozioni non sono reali. La performance è il contrario: il coltello è reale, il sangue è reale e le emozioni sono vere. È un concetto molto diverso. Riguarda la vera realtà». Parole come pietre quelle di Marina Abramovic - imperatrice indiscussa della performing art - scolpite nell’introduzione del libro capolavoro di Cristiano Leone, 39enne manager culturale recentemente nominato presidente della Fondazione Santa Maria della Scala di Siena. "Atlas Of Performing Culture", edito da Rizzoli, colma un vuoto nell’editoria d’arte e rappresenta una pietra miliare per fare il punto sulla storia della performance inserita in una dimensione antropologica e storica; un vero e proprio atlante, graficamente sontuoso e ricco di documentazione fotografica che analizza nel profondo il rapporto tra la forma d'arte, il suo contesto storico e ambientale, il suo significato e le sue percezioni assolute, oggettive e soggettive.

Il volume rappresenta un viaggio tra varie opere ed autori che rappresentano momenti fondamentali delle Arti performative, tappe che ne definiscono le caratteristiche, ne ripercorrono la storia e ne manifestano le ripercussioni sul tessuto culturale. Oltre 440 le pagine con più di 200 illustrazioni, più di 65 gli “universi di arte performativa”, dal museo su un’isola in Giappone, al Carnevale di Rio, dal rave party nella campagna britannica, a un centro culturale ospitato in un’ex casa funeraria alla periferia di Parigi.

«Non si parla di atlante delle arti performative, ma di atlante della cultura performativa - sottolinea l’autore - di quella cultura che crea un legame indissolubile, per quanto a volte fugace, tra il pubblico, gli artisti, le architetture create dall’uomo e le forme della natura. Con questo testo si vuole, infatti, valicare la frontiera delle arti e mettere al centro il prodigio che si crea quando la cultura federa, include, e crea nuove comunità destinate a perdurare ben oltre la durata del singolo evento. Ciò si evince sin dalla struttura del volume: in copertina troviamo, infatti, una foto di Bert Stein dell’opera di Robert Wils On The Life and Times of Sigmund Freud, pubblicata su Vogue nell’agosto del 1970. La scelta di quest’immagine, rinviando alla complessità creativa del regista e artista americano, indica che l’universo della cultura performativa abbraccia il teatro, la performance, la poesia, la psicanalisi, la musica, la danza, la moda e tanti altri aspetti (...

) Il titolo, come uno specchio cangiante, ricorda quanto esso non sia mai lo stesso: dipende invece dall’osservatore e dalle condizioni spaziali e temporali in cui esso si trova».

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