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"Feci togliere le catene". Ma Di Pietro dimentica gli orrori di Mani Pulite

L'ex pm ricorda di quando in tribunale ordinò di togliere le manette all'ex deputato Enzo Carra. Ma il calvario giudiziario di quest'ultimo è proprio l'emblema degli eccessi di Mani Pulite

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Le immagini di Ilaria Salis in catene nell'aula di tribunale a Budapest hanno fatto indignare e discutere. E il dibattito sulla giustizia si è riacceso. Ma non si può certo dire che in Italia simili situazioni non si siano mai verificate. In molti hanno associato quelle sequenze ad altre - ugualmente indegne - viste nel nostro Paese durante gli anni di Mani Pulite, quando gli eccessi di giustizialismo e le gogne mediatiche erano pressoché all'ordine del giorno. Tra i casi più emblematici al riguardo, quello dell'ex parlamentare Dc Enzo Carra, condannato definitivamente nel 1995 e poi riabilitato nel 2004, dopo un lunghissimo iter giudiziario.

Ebbene, oggi mentre in tv si discuteva della vicenda Salis, l'ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro ha evocato proprio il caso del deputato Carra. "Le traduzioni in tribunale sono una cosa, l'udienza è un'altra. In udienza non si può stare in manette", ha premesso l'ex magistrato, per poi attingere alla personale aneddotica. "Racconto un fatto personale drammatico che ho vissuto. Quando ho fatto Mani Pulite, una volta è capitato l'onorevole Carra portato in manette in tribunale. Come è entrato in aula, c'è stato un pubblico ministero che ha urlato: 'Togliete quelle manette, perché in aula bisogna stare liberi'. Quel pubblico ministero ero io", ha ricordato Di Pietro.

Non sappiamo a quale specifica udienza si riferisse l'ex pm di Tangentopoli, ma certo quel suo intervento - per come viene riportato - fu corretto. Peccato però che proprio nel periodo di Mani Pulite non mancarono anche situazioni ben diverse. E peccato che una delle vittime di questi eccessi fu proprio, suo malgrado, Enzo Carra. "Dovevo comparire davanti ai giudici, ero al pianterreno del Palazzo di Giustizia. Due carabinieri si apprestavano ad accompagnarmi tenendomi per il braccio, poi arrivò una telefonata. Non seppi mai di chi. Li vedi consultarsi: era arrivato l’ordine di mettermi in ceppi", raccontò in un'occasione l'ex parlamentare. "Dovevo comparire davanti al muro delle telecamere e dei fotografi ammanettato, come simbolo della vittoria dei magistrati sulla politica", affermò ancora.

Con i polsi bloccati, l'ex esponente Dc sfilò davanti a fotografi e cameramen. Quelle immagini segnarono in modo indelebile la memoria collettiva, diventando il simbolo delle storture legate a quel momento storico. "Mio figlio veniva villaneggiato a scuola e fece molta fatica a riprendersi. Io mi rimisi in carreggiata grazie a un amico psichiatra. Volevo andare via, mia moglie insisteva perché rimanessimo in Italia", confidò Carra in un'intervista, testimoniando le pesanti conseguenze del calvario giudiziario affrontato prima della riabilitazione. Ora, ha fatto bene Di Pietro a ricordare di quando in aula intimò di levare le manette all'ex deputato; ci saremmo aspettati che l'ex pm riconoscesse però che durante gli anni di Tangentopoli non fu tutto rose e fiori.

"Una cosa è la traduzione, l'altra cosa è l'udienza. La traduzione dall'istituto carcerario fino al tribunale tiene conto della pericolosità sociale al momento della traduzione", ha spiegato l'ex magistrato, richiamando i criteri di proporzionalità delle misure di sicurezza.

In generale, l'intera vicenda di Carra fu proprio l'esempio di come questi principi vennero messi in discussione.

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