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Jurij Gagarin: chi era il primo uomo nello spazio (che morì in un incidente aereo)

La passione per il volo, la selezione, poi lo Spazio con la Vostok 1 e l'impresa che ha segnato la storia. La storia di Jurij Alekseevič Gagarin, il mito degli astronauti finito in circostanze misteriose

Immagine da Wikipedia
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Ricorre oggi, mercoledì 12 aprile, l'anniversario della missione Vostok 1 (12 aprile 1961). Ben 62 anni fa, infatti, il cosmonauta sovietico Jurij Alekseevič Gagarin lasciò la sua firma nella storia diventando il primo essere umano a raggiungere lo Spazio. Un'impresa che gli amanti della materia ricordano con emozione ancora adesso.

Il primo uomo nello spazio

Era il 12 aprile 1961 quando dalla base spaziale di Bajkonur (Kazakistan) veniva lanciata nello Spazio la prima navicella spaziale con a bordo equipaggio umano, la Vostok 1. Erano le 9:07 di Mosca.

All'interno del mezzo si trovava il 27enne Jurij Gagarin, selezionato fra 3461 candidati. Nato il 9 marzo del 1934 a Klušino, villaggio dell'oblast' di Smolensk, era figlio di persone umili. Suo padre, Aleksej Ivanovič Gagarin, era un falegname, mentre sua madre, Anna Timofeevna Gagarina, una contadina. Dopo aver patito gli anni bui della Seconda guerra mondiale, Jurij Gagarin si era appassionato al volo dopo aver conseguito il diploma. Cominciò con un biplano per poi volare su uno Yak-18.

Intraprese una carriera come pilota militare. Poi, nell'estate del 1959, partecipò alla selezione per aderire al programma Vostok. Fra i tanti candidati fu lui a risultare favorito, non solo dalla commissione, ma addirittura fra gli stessi partecipanti alla selezione.

Cominciò dunque il rigido addestramento, composto da test finalizzati a valutare la forza fisica e mentale, prove di ipossia, verifiche di tenuta mentale e molto altro: Gagarin si preparò a essere il primo uomo nello Spazio.

Jurij Gagarin
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La corsa allo spazio

Era l'inizio di una nuova era. L'uomo si apprestava a esplorare qualcosa al di fuori del pianeta Terra. Unione sovietica e Stati Uniti d'America si contendevano l'ambito primato. Diversi voli di prova furono effettuati prima che alla Vostok 1 fosse concesso di partire.

Il 15 maggio 1960 fu lanciata una capsula priva di equipaggio, che però non rientrò in atmosfera terrestre. Il 28 luglio dello stesso anno si tentò con una seconda capsula, con a bordo due cani: Bars e Lisička. La navicella esplose pochi secondi dopo il lancio. Ci fu un'altra prova il 19 agosto, con i cagnolini Belka e Strelka. Entrambi sopravvissero al viaggio e, concluso l'atterraggio, vennero recuperati.

Vennero effettuati ulteriori lanci, non sempre riusciti con successo, fino al 25 marzo 1961, quando la navicella trasportò un cagnolino (Svjosdotschka) e un manichino di un cosmonauta.

La missione Vostok 1

Per viaggiare sulla Vostok 1 fu scelto Jurij Alekseevič Gagarin. German Stepanovič Titov e Grigorij Grigorjevič Neljubov vennero invece nominati cosmonauti di riserva.

Stupì la freddezza e la calma dimostrate da Gagarin a poche ore dalla partenza. Viene ricordato un aneddoto: nel tragitto verso la rampa di lancio il 27enne decise di fermarsi per urinare sulla ruota posteriore dell'autobus (un gesto divenuto oggi una sorta di rito propiziatorio per tutti gli astronauti). Vostok 1 decollò alle 9:07 del 12 aprile 1961. "Pojéchali!", disse Jurij Gagarin. Ossia: "Andiamo!".

Di un peso complessivo di 4,7 tonnellate, alta 4,4 metri e dotata di tre oblò, Vostok 1 effettuò un'orbita completa intorno alla Terra per poi atterrare, 108 minuti dopo, a Smielkova. Fu così che l'Unione sovietica riuscì a battere sul tempo gli Stati Uniti d'America, che prevedevano un lancio per il 5 maggio del 1961.

La fama incredibile

Jurij Alekseevič Gagarin diventò un simbolo, ammirato ancora oggi. Subito dopo il lancio della Vostok 1, le principali agenzie di stampa sovietiche dettero la notizia. Tutti i cittadini rimasero ad ascoltare alla radio gli sviluppi, mentre l'impresa veniva a mano a mano comunicata anche al resto del mondo.

Gagarin descrisse ciò che vedeva dallo Spazio: un cielo molto nero, e la Terra azzurra. Da questa affermazione, pare, ha avuto origine l'epiteto "Pianeta azzurro".

Fu un trionfo. Jurij Gagarin divenne un eroe nazionale. Per lui venne allestito un corteo in pompa magna che lo scortò fino al Cremlino. Fu poi invitato a parlare e a raccontare la sua imprese in più di 30 paesi del mondo. Qualcosa, però, si incrinò. Gagarin avrebbe voluto volare ancora, ma i funzionari sovietici preferirono non mettere a rischio la vita del loro eroe, facendolo partecipare a nuove missioni. Questo, insieme al peso della fama, incise fortemente sulla psiche del cosmonauta.

Il mistero sulla sua morte

Jurij Gagarin volò per l'ultima volta 27 marzo 1968. Non tornò mai su una navicella spaziale, la sua vita si concluse su un MiG-15 UTI. L'areo decollò dalla base di Chkalovskij, ma alle 10:31 si interruppe ogni comunicazione. Cosa accadde? Sulla tragedia permane il mistero.

Insieme a Gagarin viaggiava l'istruttore di volo Vladimir Serjogin. Il caccia si schiantò nei pressi della città di Kiržač, e non si è mai saputo molto in proposito. I corpi di Gagarin e dell'istruttore di volo furono recuperati e cremati, le ceneri collocate nelle mura del Cremlino, a Mosca.

Sul caso furono effettuate almeno tre indagini. Tante le teorie che si sono diffuse negli anni. Alcuni hanno puntato il dito sul Kbg, il servizio segreto dell'Unione Sovietica. Da parte sua, il Kgb affermò che lo schianto del caccia fosse stato in parte dovuto da un errore del personale della base aerea. Nel 2005 venne poi avanzata la teoria secondo la quale una presa d'aria della cabina fosse stata lasciata aperta per sbaglio dall'equipaggio precedente, cosa che avrebbe portato alla privazione di ossigeno e alla morte dei piloti. Qualcuno, però, affermò di aver sentito due forti esplosioni poco prima della tragedia.

Nel 2011, infine, documenti declassificati prodotti da una commissione istituita nel 1968 parlarono di una pericolosa manovra effettuata da uno dei due piloti per evitare un pallone meteorologico o per impedire l'ingresso nel limite superiore del primo strato di copertura nuvolosa.

Ciò avrebbe portato il MiG-15 UTI a una modalità di volo critica che provocò l'incidente.

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