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Stangata all'Ong: fermo per la nave e multa. E gli attivisti protestano pure

Doppio intervento in zona sar libica per la nave Ocean Viking, ora fermata a Ortona per 20 giorni in esecuzione del decreto Piantedosi

Stangata all'Ong: fermo per la nave e multa. E gli attivisti protestano pure

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L'Ong viola le regole. Ma poi protesta per il fermo della nave

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Zero sconti per le navi Ong che non rispettano il decreto Piantedosi. Ennesimo fermo, il dodicesimo, dall'entrata in vigore del dispositivo studiato dal ministero dell'interno per un natante della flotta civile che ha contravvenuto alle indicazioni delle autorità italiane. Stavolta è la Ocean Viking, che batte bandiera norvegese, ad aver subito il blocco in porto e la multa da 3mila euro tra le solite proteste ben note. Nonostante esista una norma chiara e precisa, che non si presta a interpretazioni, le Ong insistono nei tentativi di eluderla e, soprattutto, pretendono successivamente di non pagarne le conseguenze. E ci dev'essere sicuramente qualcosa che sfugge ai più se le Ong preferiscono subire fermi e multe piuttosto che dirigersi in altri Paesi, dove non avrebbero alcuna limitazione.

Nel caos specifico, dopo un primo intervento su 33 persone in zona Sar libica nella notte tra venerdì 10 e sabato 11 novembre, il Centro italiano di coordinamento del soccorso marittimo ha dato istruzioni alla Ocean Viking di procedere verso Ortona, in provincia di Chieti, per far sbarcare i migranti. La richiesta all'Italia, nonostante il nostro non fosse il Paese più vicino, è ormai una prassi. Ma, d'altronde, un'altra Ong l'ha ammesso nero su bianco che l'obiettivo ultimo è quello di portare le persone in Europa. Ottenuto il porto di sbarco il Italia, invece di dirigersi senza esitazione verso Ortona, Ocean Viking ha ricevuto la segnalazione di un'altra carretta con 34 persone a bordo a 16 miglia nautiche dalla nave. A quel punto, l'Mrcc italiano ha dato indicazione alla Ocean Viking di rivolgersi al Joint Rescue Coordination Center libico per ricevere istruzioni.

La Ong riferisce di aver parlato con un ufficiale "si è limitato a chiedere l’esatta posizione della richiesta di soccorso". In sostanza, dalla Libia non hanno detto ciò che l'equipaggio voleva sentirsi dire e in ragione di questo hanno deliberatamente ignorato le indicazioni italiane: "Non ci è stata alcuna rassicurazione rispetto al fatto che il salvataggio delle persone in pericolo fosse in corso. Nessun’altra autorità marittima ha fornito informazioni o assistenza, nonostante gli sforzi della Ocean Viking per cercare coordinamento. Di conseguenza, la Ocean Viking non ha potuto ritenersi sollevata dall’obbligo di prestare assistenza". Nel frattempo, come ammette anche la Ong, l'Italia continuava a intimare alla nave di raggiungere Ortona come previsto dal decreto.

La Ong aveva un'altra strada da percorrere, se voleva effettuare quel secondo intervento. Sapendo che l'Italia ha una norma che non prevede la possibilità di doppio intervento, una volta iniziato l'intervento la Ocean Viking avrebbe potuto chiedere il porto altrove, bypassando il nostro Paese. È una nave di grandi dimensioni, attrezzata alle lunghe navigazioni, come dimostrano gli eventi del passato, quando l'equipaggio era in grado di rimanere in mare anche diverse settimane in attesa di caricare al massimo della capienza la nave. Sarebbe riuscita a raggiungere agevolmente la Corsica, se non addirittura la Francia meridionale, oppure la Spagna. Ma anche i Paesi balcanici, che sono ancora più vicini. Tutti Paesi sicuri e, quindi, idonei allo sbarco.

Eppure, con insistenza e prepotenza, ha scelto comunque l'Italia, consapevole delle conseguenze contro le quali ora la Ong alza la voce. "È impensabile che un'organizzazione umanitaria venga penalizzata per aver svolto un'operazione di soccorso e punita per l'incapacità delle autorità responsabili di coordinare efficacemente le attività di soccorso nel Mediterraneo centrale", ha dichiarato Valeria Taurino, direttore generale di Sos Mediterranee Italia.

Ancora una volta, da parte delle Ong, emerge la totale incapacità di aderire a un modello normativo e di rispettare la legge, come democrazia impone.

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