Con Balducci casa mia non c'entra

Altra lettera del conduttore tv, questa volta convincente. "L'alloggio è del Vaticano, pago 10mila euro al mese"

Con Balducci casa mia non c'entra

Caro Vittorio,
il titolo del pezzo di Gian Marco Chiocci pubblicato ieri è da scuola di giornalismo. «Il segreto di Bruno: quella casa in affitto dagli amici di Balducci». Le parole chiave sono due, Segreto e Balducci. Traduzione per il «cittadino comune» a cui dobbiamo entrambi la nostra fortuna professionale: Vespa scende in campo contro la pubblicazione della lista Anemone perché deve proteggere un segreto imbarazzante: aver avuto la bella casa in cui abita grazie all’intervento della cricca (in senso lato) di Balducci. Andiamo ai fatti. Il segreto fa sorridere: casa mia è stata fotografata in lungo e in largo, vi sono venute decine di persone e tutte ne conoscono la storia, anche per via del «dibattito» con mia moglie di cui dirò tra poco. E Balducci non c’entra niente, a nessun titolo. Dopo il giubileo del 2000 dissi al Cardinale Crescenzio Sepe, allora prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che pur occupando una grande casa di proprietà nel bel quartiere di Prati, avrei gradito sapere se si fosse liberato in centro qualche appartamento con una terrazza, tra i tanti di proprietà della Congregazione.
Premetto - ci si creda o no - che allora non conoscevo una sola di queste case. Nella primavera del 2005 il mio studio ricevette una telefonata dal presidente dell’ospedale Bambino Gesù. Poiché avevo fatto una donazione a quella benemerita istituzione, pensavo mi volessero ringraziare. Il presidente era Francesco Silvano, un autentico galantuomo che al momento della telefonata non conoscevo e che voleva parlarmi d’altro. Ex manager di Stato, dopo la pensione e la scomparsa della moglie, si dedicava in modo del tutto disinteressato al volontariato laico facendo vita monastica (la fa tuttora avendo seguito Sepe a Napoli). Silvano mi disse di essere «consultore» della Congregazione, era uomo di fiducia di Sepe e mi comunicò che a Trinità dei Monti si era liberato un appartamento con una bella terrazza dopo la morte - a 95 anni - dell’inquilina che l’aveva occupato per mezzo secolo insieme con il marito, deceduto anche lui da tempo.
L’appartamento aveva alcune controindicazioni. Misurava 200 metri quadri, mentre la mia casa (comperata negli anni ’80 rispondendo ad un’inserzione sul giornale) ne misurava 300, aveva i soffitti bassi e le stanze molto scomodamente distribuite su tre livelli. Poiché in cinquant’anni non c’era stata manutenzione, i lavori di ristrutturazione sarebbero stati imponenti. Ma la terrazza era meravigliosa e io ebbi il colpo di fulmine. All’inizio, invece, mia moglie si oppose fermamente al trasloco. Il canone di affitto era altissimo, il costo dei lavori pazzesco. Scoprimmo infatti che l’appartamento era stato offerto ad altre persone e rifiutato per questa ragione. (La morte di un’altra signora novantenne fece liberare poco dopo un appartamento al piano di sotto: più grande, più bello e più caro del mio. E restò sfitto per più di un anno). Alla fine mi imposi: si vive una sola volta, dissi a mia moglie, non ho mai fatto pazzie, concedimi questa.
Così, caro Vittorio, per quella casa pago diecimila euro al mese di affitto. Inoltre, poiché la Congregazione finanzia una serie di iniziative benemerite nel Terzo Mondo e poiché io sono un uomo fortunato e giro in beneficenza una parte dei miei guadagni, ho deciso fin dal 2005 - per ringraziare la Congregazione di avermi affittato la casa - di devolvere una cifra annua molto consistente in favore di alcune di queste iniziative. Sono cose che dovrebbero restare riservate, ma mi trovo costretto a parlarne. Come mi trovo costretto a dire che i lavori di ristrutturazione della casa mi sono costati oltre mezzo milione di euro, per l’esattezza 531.867,12, Iva compresa. Tutti fatturati, tutti a mio completo carico e fatti da imprese che nulla hanno a che vedere con la Cricca.
E Balducci? Quando ho firmato il mio contratto non ne conoscevo nemmeno l’esistenza e sono convinto tuttora di non averci mai scambiato una parola. Come vedi, caro Vittorio, non ho alcuna ragione di essere nervoso. Chi ha qualcosa da nascondere non s’impegna in battaglie donchisciottesche come la mia, per difendere non tanto persone che non conosco presenti nella «lista Anemone», ma soltanto un principio. Giusto o sbagliato. Ma un principio di garanzia.


Grazie e cordialità,
Bruno Vespa

Caro Bruno,
questa sì è una bella risposta, completa. Mi auguro che i signori citati nella lista Anemone siano capaci di fare altrettanto per chiarire la loro posizione.

v.f.

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