Controcultura

Balzac e le ambizioni perdute nel caos calmo della provincia

In una grigia Besançon il duello a distanza fra un avvocato rampante e una ragazzina che pretende il grande amore

Balzac e le ambizioni perdute nel caos calmo della provincia

Daniele Abbiati

Balzac non era uno scrittore banale, di quelli che spesso e volentieri scrivono per togliersi i sassolini dalle scarpe, per regolare vigliaccamente i conti in un duello impari, dove è uno solo dei contendenti a tenere... la penna dalla parte del manico. Lui, al contrario, scriveva per metterseli, i sassolini nelle scarpe.

C'è una sottile vena masochistica nel suo parlare di sé parlando degli altri, nel veleno dell'autoreferenzialità diluito nel mare magnum della Commedia umana. Scrivendo, Balzac i conti li fa soltanto con se stesso. E sono conti esistenziali che, esattamente come quelli economici, non tornano mai. L'essenza borghese di Balzac consiste nell'insoddisfazione: all'appello gli manca sempre un tot di franchi, un tot di successo mondano, un tot di prestigio, un tot di potere. Ad aggravare la situazione del buon Honoré c'era poi il legame slegato, sfilacciato dalla lontananza, dalla gelosia e soprattutto dalla differenza di rango, con la contessa Hanska, che per lui rimase sempre e comunque «la Straniera». Anche nei cinque mesi, i suoi ultimi, di un matrimonio ormai fuori tempo e fuori luogo.

Fra i molti romanzi-autoritratto di Balzac ce n'è uno fino a pochi giorni fa mai tradotto in italiano: una falla opportunamente tappata dalla casa editrice Sellerio che ha mandato in libreria Albert Savarus (pagg. 228, euro 13, traduzione di Francesco Monciatti). Comparso nel 1842 prima in feuilleton su Le Siècle e subito dopo in volume, venne inserito dall'autore nella Commedia umana tra le Scene della vita privata. La chiave della narrazione è tutta in una parola: ambizione. È l'ambizione, sentimento quant'altri mai borghese e balzachiano, a muovere tutti i personaggi in una Besançon retriva e invidiosa, chiusa in casa a coltivare il proprio meschino particulare.

Quando nel sonnacchioso capoluogo della Franca Contea giunge da Parigi un brillante, seppur asociale, avvocato trentenne, tutti drizzano le antenne: chi è, che cosa vuole da noi? «Il nome de Savaron è celebre. I Savaron de Savarus sono una delle più vecchie, più nobili e più ricche famiglie del Belgio», dice quella smorfiosetta di Rosalie de Watteville, «molto ferrata nella scienza araldica», chiosa ironicamente Balzac. La vicenda, appena iniziata, è già ben apparecchiata. Mammà spinge la sua bambina capricciosa fra le braccia del tontolone di turno, Amédée de Soulas, ma la piccola s'incapriccia del nuovo venuto: ambisce a un amore romantico, non a una sistemazione qualsiasi. Tuttavia Albert la ignora: a renderlo tenebroso è un altro amore in fase calante, per non dire pressoché tramontato. E allora, ovviamente per ambizione, si butta sul lavoro. Dapprima toglie le castagne dal fuoco al clero locale, che è sempre un bel biglietto da visita, per un legale desideroso di farsi una sostanziosa e danarosa clientela. Poi, nutrendo anche ambizioni di giornalista-letterato, mette in piedi una rivista. Su cui pubblica il racconto autobiografico che Balzac, abile burattinaio, incastona nella trama del romanzo. Lì incontriamo la fiamma dell'aspirante principe del foro la quale, purtroppo per lui, è un'italiana di nobili natali, una specie di madame Hanska, ma più passionale. Piano piano, Honoré tesse la tela dai toni gotici che lo trasforma nel sofferente Albert, attribuendo al suo personaggio il peso dell'ennesima ambizione, quella, insidiosissima, della carriera politica.

Ma tutti, proprio tutti, dal curato al sindaco, dalla genitrice dittatrice all'ignara concorrente lontana, dovranno vedersela con la vera mattatrice della storia, la satanella Rosalie. Baudelaire scrisse, scherzando sui colpi di scena a volte troppo cervellotici del romanziere, che nei libri di Balzac «perfino le portinaie sono geniali». E questa ragazzina viziata, in tal senso rivela un talento sulfureo. Non diremo come riuscirà ad averla (quasi) vinta. Quanto al destino di Albert, invece, il masochismo di Balzac diventa sadismo, e punisce l'ambizioso ben oltre le sue colpe.

Perché somigliano troppo alle sue.

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