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Mps scala Piazza Affari sul ritorno della cedola


L’utile supera 2 miliardi. Il titolo balza del 5,5%. Lovaglio: per il futuro si valuta ogni opportunità

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Il Monte dei Paschi «ha scalato una montagna con uno zaino molto pesante». L’ad Luigi Lovaglio ieri ha fatto ricorso a una metafora per descrivere agli analisti i brillanti risultati 2023 della banca senese. L’esercizio, infatti si è chiuso con un utile di 2,05 miliardi di euro (perdita di 178 milioni nel 2022) dei quali 1,1 miliardi sono stati realizzati nel quarto trimestre. Di qui il ritorno alla cedola dopo 13 anni - in anticipo rispetto al piano industriale - con l’assemblea che sarà chiamata a distribuire un dividendo unitario di 0,25 euro (315 milioni in totale dei quali 123,5 milioni al Tesoro e 1,2 milioni alla Fondazione Mps).

La Borsa ha apprezzato i conti migliori delle attese (il consensus stimava l’utile a 1,3 miliardi) e il titolo è salito del 5,5% a 3,56 euro. Gli acquisti sono stati agevolati anche dalle dichiarazioni di Lovaglio che ha promesso «una distribuzione dei dividendi in maniera regolare con un payout del 50% sul risultato ante imposte». Anche le attese sui ricavi sono ottimistiche. Dopo i 3,8 miliardi di margine di intermediazione (+21,7% annuo) nel 2023, trainati dai 2,3 miliardi (+50%) di margine di interesse e da una sostanziale resilienza delle commissioni a fronte delle difficoltà del risparmio gestito, «ci aspettiamo un margine di interesse resiliente nonostante l’aspettativa del calo di interessi e un miglioramento del mix con l’introduzione di nuovi prodotti». Il Cet1 è al 18,1 (+2,5 punti su fine 2022), in linea con i leader di mercato. I 3 miliardi di capitale in eccesso, ha precisato l’ad, potrebbero essere utilizzati «cogliendo le opportunità all’interno delle partnership che già abbiamo» con Axa nella bancassurance e Anima nel risparmio gestito.

Ma il vero successo di Lovaglio è nell’aver alleggerito quello «zaino molto pesante». Il petitum del contenzioso è stato riportato sotto il miliardo a 890 milioni e con il rischio dei 450 milioni del contenzioso Alken (causa di risarcimento intentata dal fondo lussemburghese per il trattamento in bilancio dal 2012 al 2016 dell’operazione Alexandria) sostanzialmente azzerato viste le due sentenze favorevoli alla banca.

Non si può non attribuire un po’ di merito per questa «svolta» al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha saputo resistere alle pressioni «politiche» confermando l’ad nella scorsa primavera. D’altronde, l’azione del top manager che ha determinato questi risultati si sostanzia nell’ultimo aumento di capitale da 2,5 miliardi con contestuale uscita volontaria di circa 4.200 dipendenti del Monte. Ora la banca ha la solidità e l’appeal necessari per giocare da protagonista nel risiko bancario prossimo venturo. Il titolare del Tesoro e del 39,2% di Rocca Salimbeni ha sempre dichiarato di essere convinto che «nel 2024 possa concretizzarsi una soluzione in grado di ridefinire il sistema bancario in un’ottica policentrica», ossia senza la necessità di «regalare» l’istituto a uno dei colossi europei, inclusi quelli italiani. L’interrogativo riguarda, tuttavia, la fine del lockup (il prossimo 20 febbraio) successivo al collocamento dello scorso novembre.

A guidare il governo non c’è solo l’impegno con la Commissione Ue a uscire entro fine anno (anche se questa intesa si potrebbe rinegoziare alla luce della ritrovata redditività della banca), ma anche l’urgenza di spingere l’acceleratore sulle privatizzazioni per raggiungere l’obiettivo dei 20 miliardi dichiarati nella Nadef, necessari per dare un segnale di buona volontà ai mercati sulla riduzione del debito pubblico.

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