Cultura e Spettacoli

Baricco, la stroncatura è roba da vecchi critici

Lo scrittore pretende che ai suoi libri si applichi uno strumento antico, non in linea con la «nuova civiltà» di cui si sente parte

Diceva Leo Longanesi che due stupidi sono due stupidi, ma diecimila stupidi sono una forza storica. È questa in un certo senso la tesi di Alessandro Baricco, e sarebbe tesi vecchia se i diecimila (o dieci milioni) di stupidi in questione non fossero, anche se solo per una mossa retorica, i suoi lettori.
La polemica innescata l’altro ieri dallo scrittore torinese sulle pagine di Repubblica fa acqua da tutte le parti ma ha il pregio di prendere di petto e rivendicare a sé un aspetto della nostra epoca su cui di rado ci si sofferma. Ricapitoliamo quanto accaduto negli ultimi giorni: l’autore di Oceano mare ha lamentato che Giulio Ferroni e Pietro Citati, notissimi critici letterari, abbiano fatto giustizia sommaria il primo della sua rilettura dell’Iliade, l’altro del romanzo Questa storia. Citati aveva scoperto le virtù oppiacee dei pattinatori olimpici, grazie ai quali era riuscito a dimenticare per un po’ le brutte facce dei politici, la noia e «persino l’Iliade di Baricco». Quanto a Ferroni, si era servito di Questa storia come di un foil, il dischetto di vile metallo che si mette sotto una gemma per farne risaltare la brillantezza; infatti, dopo aver tessuto le lodi dei racconti di Vassalli, aggiungeva: «Che distanza abissale dalla stucchevole e ammiccante epica automobilistica dell’ultimo Baricco!».
Irritato, lo scrittore preso di mira ha occupato addirittura la prima pagina di Repubblica reclamando una stroncatura. «Cari critici, vendo milioni di copie e sono tradotto in tutto il mondo: se non amate i miei libri ho il diritto di essere stroncato». Diritto negato perché, si lamenta Baricco, «per persone intelligenti e colte come Citati e Ferroni i miei libri stanno alla letteratura come il fast-food alla cucina francese». Siamo tornati insomma alle regole dei duelli, con il marrano che vorrebbe essere infilzato dal cavaliere e invece deve accontentarsi dei suoi lazzi.
L’ira di Baricco ci è sembrata da molti punti di vista ingiustificata. Per cominciare non corrisponde a verità che Ferroni si sia limitato a una breve frase ingiuriosa; al contrario, non solo ha recensito e stroncato Questa storia sulle pagine del mensile Il giudizio universale, ma ha anche dedicato a Baricco un’intera pagina nel XX volume della Storia della Letteratura Italiana della Garzanti.
Lì Ferroni non si sottrae «al confronto aperto», tutt’altro; scrive infatti: «Baricco traccia una sorta di “ritratto dell’artista da giovane postmoderno internazionale”: scrittore-intrattenitore, come dev’essere e come vuole che sia la piccola borghesia giovanile moderatamente colta, la buona sinistra “dolce” e “americana”». Più chiaro di così. In secondo luogo, si potrebbe aggiungere che Baricco non è nella posizione migliore per esigere da chicchessia un comportamento integerrimo; ognuno è libero di conquistare i lettori come meglio crede, ma non ci si può svegliare una mattina ed assumere atteggiamenti di rigorismo socratico dopo una vita passata sotto ben più accomodanti stelle.
Censurabili anche i modi: perché ben presto alla spocchia degli accademici Baricco oppone la propria antiaccademica spocchia. Così Citati e Ferroni sono critici autorevoli «per il loro curriculum e per altre ragioni per me più imperscrutabili», due «mandarini della nostra cultura che incantano il loro uditorio con la raffinatezza delle loro chiacchiere...». Non sono, queste, altrettante stroncature da cui trasuda una simmetrica mancanza di legittimazione? Si è reso conto, Baricco, che delegittimando il nemico degrada la polemica a semplice lite?
Nonostante tali riserve, durante la lettura dell’articolo abbiamo concepito il sospetto che il fastidio per la mancata stroncatura, cioè per un mancato riconoscimento, sia solo un paravento dietro il quale si celano rivendicazioni piuttosto luciferine, sebbene lasciate in sospeso. In realtà, Baricco accusa implicitamente Citati e Ferroni di ignorare che la mutazione antropologica di cui parlava Pasolini abbia raggiunto anche la letteratura, la cui definizione è mutata. Abbiamo i numeri, dice Baricco, siamo maggioranza: se è vero che il significato delle parole lo stabilisce il popolo, e non i dotti, allora il significato della parola «letteratura» lo stabiliscono i miei lettori, che sono legione, non i vostri che sono quattro gatti. Se mi leggeste, «chissà che non vi balugini l’idea che una nuova civiltà sta arrivando, in cui l’uso del passato non avrà niente a che fare con il vostro collezionismo raffinato e inutile». È l’usurata accusa nietzscheana della Seconda inattuale, ma in ballo c’è ben altro che una mancata stroncatura: c’è un’aurea parola contesa.
Solo adesso una polemica vera e propria può iniziare. Possiamo chiederci se la «nuova civiltà» sia migliore (più complessa, luminosa, benefica) della vecchia, se sia preferibile contrastarla oppure promuoverla, e anche se le due civiltà possano convivere tollerandosi e magari arricchendosi vicendevolmente. Cosa tutt’altro che facile: tanto per fare un esempio, nella «nuova civiltà» la stroncatura è antieconomica e quindi non esiste. Non a caso nel mondo nuovo il paginone centrale di Repubblica non serve a denunciare il superuomo truce, meschino e antisociale di Federico Moccia, il quale vendendo un milione di copie ha reso la convivenza civile più infernale di quanto già non fosse. Al contrario, serve per inchinarsi alle cianfrusaglie di Isabella Santacroce o all’ultimo dozzinale romanzo di Melania Mazzucco. Baricco è dunque doppiamente contraddittorio: perché pretende dagli altri un rigore che non ha mai preteso da se stesso, e perché da cittadino «nuovo» desidera un oggetto, la stroncatura appunto, che appartiene al mondo vecchio.


Se avesse condotto il suo pensiero fino in fondo, avrebbe potuto orgogliosamente infischiarsene di Ferroni e Citati, e cercare la sua glorificazione altrove che nella critica letteraria. Perché non lo ha fatto? Si sarà ricordato troppo tardi che la gloria letteraria, nel mondo nuovo, è un prodotto introvabile?

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