Bollicine o whisky, il bicchiere è sempre pieno

Bollicine o whisky, il bicchiere è sempre pieno

Innanzitutto le bollicine, utili per quando l’atmosfera natalizia deve ancora, per così dire, «prendere il via». Se sbicchierate alla cieca il brut millesimato di Carlo Zadra (uve chardonnay, pinot nero e bianco; vigne in alto Trentino; spumantizzato per 24 mesi in un antico cascinale a Grumello del Monte) nessuno si accorgerà che non è champagne. Se tuttavia noblesse oblige, c’è sempre il G.H. Mumm, magari dopo averlo prelevato dallo scenografico «ritual box» 2011.
Entrando nel vivo dei pranzi e delle cene: il nebbiolo dei due (giganteschi) fratelli Varaldo è tra i pochi che hanno un timbro proprio, da cui si riconosce immediatamente la vigna. Alternative sui rossi: l’Amarone della Valpolicella o il Ripasso di Le Salette, due vini virgiliani, non possenti, romantici; oppure il barbaresco «cru Masseria» di Vietti, che ha ben dato filo da torcere a quello di Gaja. Per professionisti: il chianti classico 1986 di Castell’In Villa, elegante, fine, all’opposto della Toscana piena e opulenta che va per la maggiore. Per eccentrici, fermo restando i vini della Mosella, c’è il provenzale Palette di Château Simone o il friulano Pignolo di Ermacora (agli stanchi del teroldego e del refosco). Due bianchi per tutti: il «rebula» (ribolla gialla) dello sloveno Blazic e lo chablis di Moreau Naudet, vignaiolo indipendente.
Il dopocena è il momento più lussurioso, tra il leggendario sudafricano Vin de Constance di Klein Constantia (a livello di evocatività interiore, una bottiglia vale un romanzo - breve - di Balzac) e il tokaji aszú Disznókö (rigorosamente 4 o 5 puttonyos).

Per chi è in cerca di bicchieri forti: il rum venezuelano Diplomatico, lo scotch whisky giapponese Nikka e il brandy 22 anni di Villa Zarri rimarranno indimenticati.

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