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"Dopo le Br e Moro racconto un Papa tutt'altro che beato"

Il regista rievoca in "Rapito" la storia di un bambino ebreo che fu allevato come cattolico

"Dopo le Br e Moro racconto un Papa tutt'altro che beato"

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Bellocchio batte Spielberg uno a zero. Dietro le quinte di Rapito c'è una storia che torna indietro di qualche annetto, quando il regista piacentino decise di girare un film sul caso di Edgardo Mortara a metà Ottocento. Un incrocio diabolico perché la vicenda aveva sedotto anche l'autore di E. T. e dei Fabelmans che si era aggirato per l'Italia in cerca di visi, location e bambini.

Bellocchio, è finita che glielo ha soffiato

«Per la verità, quando ho saputo che lui era già al lavoro mi ero fermato. Si può vivere anche senza Edgardo Mortara, in fin dei conti. Poi quando ho appreso che invece aveva desistito definitivamente, mi sono rimesso all'opera».

È vero che Spielberg ha mollato la presa perché non trovava un interprete giusto per il bimbo?

«Questa è stata la motivazione ufficiale, quella reale credo sia un'altra. E cioè che girare un film in inglese e con protagonisti americani su una situazione così italiana è apparso forzato anche a lui».

Invece lei ha trovato facilità nell'individuare il piccolo protagonista.

«Non direi. È stato faticoso anziché no. Serviva un bimbo che non recitasse e fosse naturale. Non quei bambinetti che fanno le pubblicità dei biscotti e da quei dolcetti sono stati rovinati senza nemmeno accorgersene».

Che cosa lo ha convinto a girare in pochi anni il suo quarto film. E tutti presentati a Cannes per di più

«Ho letto il libro di Messori Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX, tutto schierato in favore del pontefice e mi sono domandato se, in fondo, quello che dal 2000 è un beato, fosse davvero da assolvere. È stato l'ultimo papa re e in qualche modo andava sottolineato. Però ho cercato di non prendere posizione. Mi interessava la storia più che darne una qualsivoglia chiave di lettura».

Eppure l'agiografia risorgimentale di cui è avvolto Pio IX si perde completamente.

«Il mio io cattolico ha rifiutato di sottomettersi ai dogmi. Anche quelli degli uomini per i quali c'è sempre qualcuno o qualcosa di insindacabile».

Qualche prelato ha visto il film?

«Non farò nomi e cognomi ma lo hanno visto sia esponenti cattolici sia ebraici. Nessuna critica equivale a una promozione».

E Sua Santità?

«Ho scritto a papa Francesco e spero abbia voglia di vedere il mio film anche se ha tante cose ben più importanti da fare. Chissà che non trovi il tempo per una serata divertente, interessante. Tra amici. Attendo».

Rapito Edgardo Mortara e rapito Aldo Moro. C'è un filo conduttore tra i suoi ultimi due lavori?

«Onestamente quando ho girato questo film non avevo tenuto conto di questo risvolto, devo però dire che, riflettendoci, si tratta di due sequestri che hanno in comune la cecità».

In che senso

«Nella vicenda drammatica del leader Dc c'era la visione ottusa dei brigatisti che volevano soppiantare lo stato per creare una dittatura operaia e comunista. Nel requisire il bambino alla sua famiglia c'è l'incapacità del Vaticano di ammettere che una famiglia ebrea possa allevare un bambino anche se è stato battezzato. Non possiamo permetterlo, si dice testualmente negli atti. E questo è stato almeno all'inizio proprio uno dei titoli proposti».

Come mai è stato scelto «Rapito»?

«Si è trattato di una genesi lunga. In prima battuta doveva intitolarsi La conversione, poi si è passati sul più testuale Non possumus ma presto si è deciso che avrebbe avuto poco appeal e poca attrattiva nei confronti del pubblico. Così si è passati al titolo attuale e definitivo».

Che cosa si augura

«Spero che la gente vada a vederlo e abbia la stessa fortuna di Marcellino pane e vino, un cult cattolico e didattico di quando eravamo bambini. Non lo dico per sete di ricchezze. L'incasso di tutta Italia nel primo giorno di uscita sarà devoluto a favore dell'Emilia Romagna, prostrata dall'alluvione.

Qui siamo in molti a venire da lì».

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