Controstorie

Il calcio è il gioco sporco per la tratta dei migranti

I passaporti falsi, chi si spaccia per campione e il viaggio sul barcone finito male di Fatima

Luigi Guelpa

E state 1991: Mohammed Gargo, Emmanuel Duah e Samuel Kuffour avevano appena vinto il mondiale Under 17 che si era disputato in Toscana, e l'allora presidente del Torino Gian Mauro Borsano fiutò l'affare prelevandoli in blocco per un miliardo e duecento milioni delle vecchie lire. In Italia i tre ghanesi vennero assunti come fattorini presso la Gi.Ma., la società di Borsano. Apriti cielo: si parlò di tratta di schiavi e contro il Torino si schierarono tra gli altri il presidente federale Matarrese. Pochi giorni e saltò tutto, ma il bonario tentativo di aggirare l'ostacolo perpetrato da Borsano fa sorridere se messo a raffronto con la vicenda di Prato di un quarto di secolo dopo. Qui ci troviamo di fronte a un'organizzazione zelante e articolata. Gli indagati avrebbero procurato illegalmente l'ingresso in Italia di cittadini ivoriani minorenni, producendo presso l'ambasciata italiana di Abidjain, e poi presso l'ufficio immigrazione della questura di Prato, documentazione attestante false parentele, allo scopo di ottenere il rilascio dei visti di ingresso per motivi di ricongiungimento familiare, con successivo ottenimento dei permessi di soggiorno per motivi familiari.

Il calcio sta diventando una sorta di passepartout per aggirare i regolamenti sull'immigrazione clandestina? Diciamo che a Prato abbiamo assistito alle prove generali. Nella città famosa per i tessuti si sta srotolando però un filo che porta a Torino, dove vive tal Nadjir Yammingue Zougue. Questo soggetto sostiene di essere il console onorario del Togo, e attraverso il sito internet www.consolatotogo-to.it offre servizi che vanno dai visti d'ingresso nel paese africano, al rinnovo del passaporto togolese, fino al visto turistico e diplomatico che consente ai suoi concittadini di soggiornare in Italia eludendo una lunga serie di pratiche burocratiche. C'è però un problema, tutt'altro che marginale: alla Farnesina sanno perfettamente che l'ufficio diplomatico è abusivo, ma non l'hanno mai chiuso. Proprio in Togo, nella località di Badou, un procuratore ci mostrò una lettera (ovviamente falsa) di incarico conferitogli dal Catania Calcio (non scelse Juve, Milan o Inter per apparire di proposito più credibile) per scovare i migliori talenti del calcio togolese e portarli in Italia. Non è un caso che fosse in contatto col sedicente console di Torino. Sulla vicenda si pronunciò l'amministratore delegato della società etnea, Pietro Lo Monaco, smentendo di aver affidato qualsiasi incarico a un nostro connazionale nel cuore dell'Africa.

Vicende grottesche e raggiri sono all'ordine del giorno, ma quello che accadde a Yao Amegnaglo, una toccata e fuga nella nazionale del Ghana, sembra preso in prestito dalla fantascienza. Il calciatore fu protagonista nel 2014 di una storia a dir poco delirante. Fisicamente somigliava all'ex milanista Desailly e pare che avesse anche dei piedi piuttosto educati. Uno pseudo agente di calciatori decise di portarlo a Tel Aviv per un provino. Lo scout in realtà selezionava giovani da trasformare in guerriglieri jihadisti nel cuore d'Israele. «Appena ho capito di che cosa si trattava sono riuscito a fuggire - ci racconta - viaggiando con ogni mezzo di trasporto possibile, percorrendo in due mesi più di 7mila chilometri. A distanza di tempo mi chiedo che cosa è accaduto ad alcuni miei amici che dal Medioriente non sono più tornati».

Anche la morte della 19enne Fatima Jawara, atleta della selezione femminile di calcio del Gambia, deceduta nelle acque del Mediterraneo nel novembre scorso mentre tentava di raggiungere le nostre coste dalla Libia a bordo di un barcone, ha un retroscena inquietante. Il portavoce della Federcalcio, Bakary Baldeh, disse che Fatima era «annegata in acque libiche. Crediamo che sia sepolta in Libia. Siamo davvero commossi da questa storia». La coordinatrice della nazionale Siney Sissoko, aggiunse: «Abbiamo perso un'atleta con molto talento», e il ministro dello sport Alieu Jammeh chiosò: «È una tragedia che ci spezza il cuore». In realtà, come rivelato da Amara Soule, giornalista sportivo di Dakar, la ragazza era stata «spinta a raggiungere il Mediterraneo e l'Italia, come molti altri giovani calciatori. Li convincono che una qualche abilità col pallone vuol dire ottenere un permesso di soggiorno». Purtroppo molti di loro trovano la morte in mare, e neppure sono calciatori, o al massimo hanno giocato in patria nei tornei amatoriali e nulla più.

Come il nigerino Issiaka, che nel 2015 a Chieti si spacciò per il nazionale senegalese Lamine Diatta. Tuttavia l'eccessiva ossessione nell'ottenere il visto insospettì l'avvocato che stava seguendo le sue pratiche. Una volta scoperta la truffa, Issiaka venne riportato al centro di accoglienza di Alba Adriatica e quindi espulso.

L'incontrastato monarca africano del raggiro resta, a distanza di vent'anni, il senegalese Ali Dia. Nel 1996 si spacciò per cugino di Weah pur di ottenere un permesso di soggiorno e riuscì addirittura a esordire nella Premier inglese con la casacca del Southampton all'epoca allenato dall'ex sampdoriano Souness. Il capitano dei Saints, Matthew Le Tissier di lui disse: «Correva qua e là per il campo come Bambi sul ghiaccio. Fu davvero uno spettacolo imbarazzante da vedere».

Quattro lustri dopo a Prato hanno soltanto affinato la tecnica.

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