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Correre a 52 gradi sotto zero: l'assurda impresa di Paolo Venturini

A cinquant'anni, nel 2019, l'atleta delle Fiamme Oro percorse quasi quaranta km nel gelo totale della Jakutia, in piena Siberia: "Le mie lacrime si ghiacciavano"

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Là fuori qualsiasi cosa che tenti di muoversi finisce ibernata. Tre milioni di chilometri quadrati di un bianco disturbante, nel bel mezzo della Siberia orientale: benvenuti in Jakutia. Anche gli abitanti del posto sanno che restare fuori per più di un'ora, da queste parti, può rivelarsi una disattenzione fatale. Perché il termometro recita stabilmente una sentenza terrificante: meno 52 gradi sotto zero. Il ghiaccio incrosta anche il respiro. Ma in quel gennaio del 2019 a Paolo Venturini, atleta cinquantenne delle fiamme gialle avvezzo ad imprese estreme, non sembra importante granchè.

In fondo si è allenato intensamente per centrare l'obiettivo. Ha seguito una dieta specifica, ha consultato un team di esperti dell'università dello Yakutsk, si è vestito con una quantità di strati isolanti che farebbero squagliare qualunque essere vivente non si trovasse nelle sue condizioni. Cioè lungo la strada che conduce da Tomtor a Oymyakon, quaranta km di distesa glaciale che freme all'idea di assiderarti.

Sulla tuta gli installano un termometro dotato di tre sonde, che monitora in tempo reale il tasso di umidità e la temperatura, dati che torneranno utili agli scienziati che studiano come sopravvivere in questo contesto tutt'altro che confortevole. Indossa tre paia di pantaloni, quattro maglie, quattro coppie di calzini termici. All'inizio ha messo sul naso anche degli speciali occhiali per coprire gli occhi, ma le lenti si ghiacciano immediatamente. Prova allora a difendere la faccia con una maschera, ma ad ogni respiro il vapore acqueo si cristallizza. Dalle suole delle sue scarpe spunta una raffica di chiodi in carburo di tungsteno, perché il manto sotto di lui sembra granito puro.

Quindi parte, seguito a ruota da un'equipe medica pronto a soccorrerlo, perché queste condizioni di prolungata esposizione all'esterno - come spiegherà in seguito - sono incompatibili con la vita. Lui fuori ci resta per quattro ore di fila, quelle che gli servono per compiere i 39 km della tratta lungo quel deserto gelido, punteggiato soltanto qua e là da alberi rattrappiti.

Tutta la zavorra che indossa lo costringe ad uno sforzo triplo. Piange di fatica e le lacrime si solidificano. Ma si è debitamente allenato per questo. L'impresa andrà in porto, anche se lascerà in dote, sul suo corpo, lacerazioni da assorbire. Quando finalmente taglia il traguardo la faccia è tappezzata di minuscole stallattiti che pendono dalla sopracciglia, dal naso e dalle labbra. Gli occhi hanno assunto un preoccupante colore giallastro. I medici gli diagnosticano subito una infiammazione ai bronchi ed un principio di assideramento alveolare. Prima di potersi fare una doccia calda deve attendere quattro ore avvolto in strati di coperte, per acclimatarsi ed evitare stati di schock termico.

Però i ghiacci sono domati.

Il sogno di Paolo Venturini non hanno potuto congelarlo.

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