Calcio

Lautaro Martinez, l'interista in un mondo senza bandiere

Mentre gli altri se ne vanno, lui resta. Un film che si ripete dal 2019: il Toro ha salutato Icardi, Lukaku, Perisic, Skriniar e Brozo. Oggi ha i galloni del capitano e si candida a icona

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Chissà cosa avrà pensato di tutto quell'incessante fluire, seduto sulla sponda nerazzurra del fiume che attraversa le stagioni. Quelle del calcio, come quelle della vita, se vale la legge - e perché non dovrebbe - di Nick Hornby. Restando agganciati alla metafora filmica, il Paul Ashworth del libro (e del film, con Colin Firth) sosteneva che in fondo ci sono poche certezze nella vita, ma una è senz'altro che ricomincerà un altro campionato, che avrai nuove chance e che non c'è proprio nulla di sbagliato in tutto questo. Lautaro Martinez potrebbe integrare il concetto: un'altra certezza che bascula tra il pallone da pedeggiare e la sua esistenza è che lui resta, mentre intorno gli amici se ne vanno. E, nel frattempo, conquista i galloni da capitano.

Non sono mica troppi quelli che ci avrebbero scommesso su, nel 2018, quando questo bull argentino, capelli sparati e figura tarchiata, ben piantata al suolo, era arrivato a Milano. Certo, nel Racing aveva fatto bene, ma la Serie A sarebbe stata, per molti, una competizione capace di trangugiarlo e risputarlo altrove. Lautaro dimostrava gradualmente però tutta le penosità di questi raffazzonati vaticini. Sgomitava, si ricavava spazio, sapeva far gol in misura crescente e aiutava la squadra con il sacrificio e la garra che sgorgano sovente dai rivoli dell'alma sudamericana, con l'intelligenza calcistica raffinata di chi sa leggere tra le pieghe di ogni gara.

Passavano gli anni e lui saliva un gradino alla volta. Montava la sua leadership. Cresceva la sua confidenza con lo specchio. Aumentava la confidenza che mostrava quando si trattava di proteggere la palla. Intorno a lui però, gradualmente, alcuni tra i compagni più forti salutavano la compagnia. Il primo era stato Mauro Icardi, trasferitosi al PSG nella rovente estate del 2019. Un ex capitano detronizzato. Un presunto leader carismatico che vedeva disgregarsi a tal punto il suo ruolo da dover fare i bagagli dopo aver segnato centoundici gol, mica un paio. Lautaro, arrivato da poco, restava al suo posto.

Poi era venuta la volta della LuLa. Meccanismi perfettamente unti. Lukaku che viene incontro e lui che gira intorno. Quella prima versione era stata velenosa, mortifera per le retroguardie altrui, balsamica per i palati interisti. Come l'aveva calcisticamente sedotto però, il panterone se n'era anche andato. Il Chelsea? La squadra del suo cuore da sempre. Salvo poi ripensarci frettolosamente un anno più tardi, con i postumi di una stragione straziante sulle ginocchia. E Martinez. Fermo lì. Come un faro puntato a fendere la notte che si allargava tutt'intorno. Quella stesa dalle sirene dei petroldollari.

Le stesse che hanno ammiccato senza ritegno, seppur con destinazioni assai differenti, al separato in casa Skriniar e a Brozovic. Due pilastri dell'ultima manciata di stagioni che prendono il largo non senza qualche paturnia per Brozo, ma comunque se ne vanno. Così come Lukaku, che dopo il bis ha fatto ritorno al Chelsea da soprammobile e che, adesso, pare aspettare quella Juventus respinta fermamente a voce in più occasioni.

E Lautaro? Al suo posto, come sempre. L'unica componente della funzione interista che non si presta ad essere variabile. Diventerà una bandiera? Presto, troppo, per dirlo.

Ma dentro un orizzonte calcistico - e non soltanto - senza più mezzo riferimento, questo suo restare vale tanto quanto una coppa.

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