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Da Baggio a Guardiola: così Mazzone insegnò calcio e coltivò i talenti

Tutti dell'ex tecnico romano apprezzavano la genuinità. Pochi ricordano come fosse imbattibile nel far crescere grandi talenti e di come il suo calcio molto moderno sia stato il padre del tiki taka di Guardiola

Da Baggio a Guardiola: così Mazzone insegnò calcio e coltivò i talenti
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Dici Mazzone e un’immagine si fa strada, prepotente nella memoria di chi ha qualche giro attorno al sole sulle spalle: la corsa incontenibile, scatenata sotto la curva dell’Atalanta quando, in pieno recupero, Roberto Baggio pareggiò i conti con la Dea per la grande gioia dei tifosi delle Rondinelle. Carletto era così, spontaneo, sanguigno, un po’ ruspante, tanto da diventare il beniamino dei tifosi. Se tutti ricordano le 792 panchine in Serie A, abbastanza da renderlo l’allenatore decano del massimo campionato italiano, quello che non molti hanno ben presente è quanto fosse avanti il tecnico romano.

Magari non piaceva alla gente che piace, ma quando si trattava di insegnare calcio pochi erano bravi come Carlo Mazzone. Fa strano che se ne sia andato proprio oggi, quando la Serie A riapre i battenti, nel gran caldo di questa estate arroventata dal meteo e dalle troppe polemiche. Il suo approccio alla mano, senza sofismi inutili, all’insegna di una sapienza allo stesso tempo antica e modernissima ci mancherà davvero tanto. Proviamo quindi a ricordare l’altro Carletto, quello che ha cambiato forse la storia del calcio, senza il quale alcuni dei più celebrati tecnici e campioni non sarebbero mai esistiti.

Il “grandissimo maestro”

Di Carletto Mazzone tutti ricordano le frasi in romanesco, la grande simpatia, il fatto che ad Ascoli, prima piazza dove ha dimostrato di cosa era capace, lo avevano soprannominato “Sor Magara”, ricordando una memorabile battuta in conferenza stampa. Sembrava una macchietta vivente, figlia di quel calcio di una volta che pochi sembrano ricordare fino in fondo. Chi non c’era o chi non prestava molta attenzione al variopinto mondo del pallone potrebbe considerarlo un difensivista, quasi un catenacciaro. Certo, il suo amore per il calcio era genuino, i suoi modi ruspanti ma non c’era niente d’improvvisato nel successo di Mazzone.

Il suo “calcio alla carbonara” era molto più moderno di quanto non ci ricordiamo. Ha fatto grandi cose nei campi di provincia, ma anche alla corte di Costantino Rozzi, il trasteverino dal cuore giallorosso non aveva mai avuto paura di sperimentare. Chi ricorda che i tifosi dell’Ascoli ribattezzarono la strada che porta al Dal Duca “Via del Calcio Spettacolo”? I geni del calcio erano altri, i Liedholm, i Trapattoni, gente che aveva, per così dire, il physique du role. Mazzone era quello simpatico, dalla battuta pronta; sottovalutarlo era fin troppo facile. A Firenze ricorderanno per decenni il terzo posto della Viola mazzoniana, quello che vide l’esplosione di Giancarlo Antognoni, numero 10 elegante e sfortunato come pochi.

Mazzone Antognoni 1976

Sor Carlo inizia a costruirsi la reputazione di grandissimo insegnante, capace di trasformare diamanti grezzi in gemme splendenti attraverso un percorso che non ha niente di casuale. Era un maestro nella gestione del gruppo ma sapeva soprattutto come e quando puntare sui giovani, trasformandoli grazie al suo carisma. Mazzone è stato molto più grande di quanto dica il suo palmares: preferiva la provincia, le sfide impossibili, dalle salvezze del Catanzaro di Palanca al sesto posto con l’Ascoli ad inizio anni ‘80. Il suo 4-3-3 offensivo a zona quasi integrale era modernissimo, figlio delle lezioni di Radice, l’olandese d’Italia.

L’allenatore in tuta era come il contadino del proverbio: scarpe grosse e cervello fino. L’apoteosi l’avrebbe toccata nella sua Roma, quando coltivò il talento anarchico del Pupone, consegnando un altro numero 10 alla storia del calcio italiano. I successi sognati dal presidentissimo non arrivarono, ma senza la figura paterna di Mazzone, forse, Totti non sarebbe diventato Totti. Più tardi avrebbe ricordato come lo marcasse stretto, come lo facesse chiamare dal suo vice per controllare se si stesse riposando davvero. Il complimento migliore glielo fece più avanti: Mazzone era un “grandissimo maestro”. Sensi, alla fine, lo fece fuori tre anni dopo ma l’onda lunga del Sor Carlo da Trastevere è ancora ben viva.

Mazzone Totti 2004

Il calcio “alla Mazzone”

La carriera di Mazzone non è mai stata semplice, come dimostra il flop clamoroso rimediato a Napoli ma il suo bello era che riusciva sempre a rialzarsi in piedi. A Bologna dimostra di non aver perso il tocco magico, rigenerando un altro talento complicato, quel Giuseppe Signori che sembrava ormai finito. Arrivano anche le vittorie, l’ottavo posto, i 23 gol di Beppe, ma non la riconoscenza di una piazza complicata. Gli anni di Perugia e quello scudetto regalato alla Lazio lasciano spazio alla vera e propria consacrazione, arrivata alla rispettabilissima età di 63 anni, quella dei tre anni a Brescia.

Quelle Rondinelle sono il capolavoro del calcio “alla Mazzone”, fatto con una rosa incredibilmente tecnica ma complicata da assemblare. Avanti c’era un giovane Luca Toni, ancora non rombo di tuono, ma alle sue spalle aveva un trio fantasmagorico: Andrea Pirlo, Pep Guardiola e Roberto Baggio. Sposta Pirlo davanti alla difesa, un ruolo da regista inusuale dopo le tante delusioni degli inizi.

Mazzone Baggio Brescia Juve

Il talentuoso catalano è considerato da tutti ormai finito ma lo prende sotto la sua ala e se lo inventa come allenatore in campo, insegnandogli come gestire il gruppo. Pep rinasce, gli regala due anni memorabili ma, soprattutto, tiene le orecchie ben aperte. Ha capito che da un maestro del genere può imparare davvero tanto. Se Pirlo diventa Mozart, il rapporto con Baggio è tanto inspiegabile quanto irripetibile.

Il divin codino aveva fatto inserire nel contratto una clausola ferrea: se Mazzone se ne va, lo seguo. Baggio non è giovane, non ha più l’esplosività di una volta, ma è ancora capace di tutto. I tre gol di quel 29 settembre 2000, quelli della corsa sotto la curva della Dea, sono il ringraziamento per la fiducia e per l’affetto di quel tecnico burbero che risolveva tutto con un sorriso. A Brescia quella squadra non la dimenticheranno neanche tra cent’anni. Forse faremmo bene a rivederne qualche partita. Altro che catenacciaro, le Rondinelle di Mazzone facevano davvero un gran calcio.

I figli di Mazzone, da Pep a Pirlo

I tre anni finali, tra Bologna e Livorno, sono all’insegna delle ennesime salvezze ma, quando decide di andare in pensione, il calcio non si dimentica di Carlo Mazzone. Il suo allievo preferito, quello fin troppo serio, che non parlava mai ma assorbiva le sue lezioni come una spugna, si era fatto strada nel mondo. Alla guida del Barcellona delle meraviglie, stava riscrivendo la storia del calcio. Il suo tiki-taka è l’ultima evoluzione del calcio totale ma non viene dalla scuola di Cruijff o Rinus Michaels: Guardiola l’ha imparato a Brescia, nella versione riveduta e corretta di Carlo Mazzone.

Nel momento più bello, la finale all’Olimpico contro il Manchester United del santone Sir Alex Ferguson, lo vuole lì con lui, invitato d’onore. L’allievo vuol mostrare al maestro che le sue lezioni le ha imparate bene: davanti ha Rooney, CR7 ma non c’è storia, 2-0, Messi ed Eto’o, il favoloso triplete. Nel momento della massima gioia, Pep fa una dedica speciale: Al calcio italiano e al mio maestro Carlo Mazzone: sono davvero orgoglioso di averlo avuto come tecnico”. L’accusa nei confronti della critica italiana, quella che l’ha sempre considerato poco più di una macchietta quasi offensiva per chi si prende troppo sul serio, passa sopra alle teste di troppi.

Brescia Guardiola 2002

Il tifosi non hanno mai dimenticato Carlo Mazzone, anche se per ragioni diverse. Invece di celebrarlo come il grande maestro di calcio che era, ce lo ricordiamo per la sua genuinità, per la sua bonaria irruenza, perché ti immaginavi di farci due chiacchiere al bar, come se fosse un amico d’infanzia. Oggi ci ricorda un tempo diverso, quando il calcio non era il parente povero del marketing, con campioni che si fingono influencer e sembrano quasi annoiati di fronte all’idea di scendere in campo.

Carlo Mazzone di calcio ne sapeva a pacchi e questo lo si vede da quello che in America chiamano “albero”. Per capire se un allenatore è stato davvero grande, bisogna vedere la carriera di chi ha avuto alle sue dipendenze, sia da giocatore che da assistente. In questo il Sor Magara è davvero imbattibile: oltre ad aver regalato al mondo del pallone un talento come Guardiola, ha insegnato tanto a moltissimi altri talenti che si stanno facendo strada da allenatori o dirigenti. Vedremo se Pirlo sarà in grado o meno di seguire le orme dell’ex compagno di squadra ma, forse, non è nemmeno necessario.

Il posto di Carlo Mazzone tra i più grandi allenatori di sempre non glielo toglierà nessuno.

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