Solo in America

La partita di calcio più lunga della storia: durò quasi quattro ore

Il calcio ha avuto da sempre un rapporto conflittuale con gli Stati Uniti. Dopo gli inizi promettenti, si provò a rilanciarlo negli anni '70 ma con alcune regole discutibili. Nel 1971 la semifinale della Nasl divenne la più lunga di sempre: ben 176 minuti

Fonte: Twitter (@OldFootball11)
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Parlare di calcio in America sembra fuori posto, visto il rapporto conflittuale che gli Stati Uniti hanno con il gioco più amato al mondo. La cosa, però, è piuttosto strana, dato che il calcio da quelle parti si gioca da più di un secolo. Forse se lo ricorderanno solo i maniaci della storia del beautiful game ma la nazionale statunitense nei primi mondiali, quelli organizzati a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, non solo c’era ma fece pure una figura non disprezzabile. La memoria corre al “miracolo di Belo Horizonte”, quando un gruppo di giocatori semi-professionisti arrivati dalle tante leghe amatoriali della East Coast indovinarono la partita della vita contro i maestri inglesi, che si erano finalmente degnati di partecipare alla Coppa del Mondo, vincendo 1-0. Dopo il 1950, come peraltro successe all’India, altra nazionale svanita nel nulla, le strade del calcio e degli Stati Uniti si allontanarono. Se gli sport americani si organizzarono, facendo enormi passi avanti in quanto a popolarità e marketing, il calcio divenne una presenza tollerata a malapena nelle città a stelle e strisce.

Beckenbauer Pele Chinaglia 1977

Visto che tutti stavano facendo montagne di soldi, nel 1968 un gruppo di imprenditori decise quindi di rilanciare l’altro football, mettendo in piedi una lega professionistica, la North American Soccer League, con l’obiettivo di insidiare il primato del baseball come sport estivo. Alle nostre latitudini ci siamo accorti della Nasl qualche anno dopo, quando l’ingresso di colossi come la Warner consentì di fare incetta di talenti, convincendo superstar di livello assoluto a svernare in America, sperando che il loro immenso talento alzasse il profilo mediatico dello sport. Arrivarono quindi i migliori al mondo: Pelè, Franz Beckenbauer, Gerd Muller, il nostro Giorgio Chinaglia e, qualche tempo dopo, anche Johan Cruijff e George Best, meravigliosi pedatori che, però, avevano già dato il meglio di sé.

Quando provarono ad introdurre il calcio in America, si lasciarono prendere la mano, dando vita ad una serie di esperimenti dal punto di vista regolamentare decisamente singolari. Per rendere più interessante il gioco, si decise di prendere in prestito le regole dell’overtime dell’hockey: si gioca fino a quando uno non segna. La cosa diede origine ad alcune partite al limite dell’assurdo, come la semifinale d’andata del campionato del 1971, quando si giocò per quasi quattro ore. Ecco perché “Solo in America” questa volta vi porta a Rochester, New York, per raccontarvi la storia di come la gara tra i Lancers ed i Dallas Tornado si trasformò in una pazzesca maratona, finita dopo ben 176 minuti.

Davvero un altro mondo

Da quel 1 settembre 1971 sono passate diverse ere geologiche nel calcio, anche dall’altra parte dell’Atlantico, ma molti appassionati ricordano ancora con simpatia quelle prime, sgangherate stagioni della Nasl, quando non erano ancora entrati i soldi di Hollywood ed a condurre le danze erano imprenditori locali che avevano fiutato l’affare. Il calcio in America c’era sempre stato, tanto che la prima stagione della Nasl arrivò 56 anni dopo l’ingresso della federazione statunitense nella Fifa ma non si era mai riusciti ad andare oltre ai campionati locali, quasi amatoriali. Quando si trattò di organizzare un campionato furono ammesse le franchigie degli Stati Uniti e del Canada, ma all’interno c’era un po’ di tutto, da gente che era bravissima nel marketing ad imprenditori improvvisati, pronti a sfruttare i tanti stadi delle cittadine dell’interno, lasciati indietro dalle grandi leghe professionistiche.

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Rochester era una di queste città che, dopo aver ospitato varie franchigie di baseball e basket, si era ritrovata fuori dai grandi circuiti. I Lancers erano partiti col botto, riuscendo a vincere il titolo nel 1970 ed avevano chiuso la regular season con il miglior record. Soldi per attirare le superstar europee e sudamericane non ce n’erano ma il mondo era pieno di giocatori inglesi, messicani o italo-americani ansiosi di una vetrina importante. La stella dei Lancers era indubbiamente Carlos Metidieri, brasiliano brevilineo e scattante, l’unico in grado di vincere il titolo di Mvp e miglior marcatore per due stagioni consecutive. I Tornado, invece, erano finiti secondi nella Southern Division e si affidavano quasi esclusivamente a seconde linee inglesi, ben liete di svernare al sole di Dallas invece che nelle brume della campagna inglese.

Una regola assurda

I tempi del dilettantismo erano passati ma gli spogliatoi della prima Nasl erano ancora posti piuttosto turbolenti, tanto che poco prima dell’inizio della serie di semifinale il portiere titolare di Dallas, Mirko Stojanovic, guardiameta della Yugoslavia ai mondiali del 1962, si ritrovò in panchina dopo una lite con l’allenatore. Il secondo portiere camminava ancora con le stampelle, visto che cinque settimane prima si era operato al menisco e si ritrovò titolare: “Ero nello spogliatoio, sempre con le stampelle e Ron e Mirko si misero a litigare. L’allenatore perse la pazienza e lo sospese senza paga. Mi guardò e disse ‘Coops, giochi te’. Lo guardai come se fosse pazzo: non mi ero allenato da mesi, non camminavo nemmeno bene ma cosa potevo fare? Mi fasciai il ginocchio e scesi in campo”.

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Gara 1 si sarebbe giocata a Rochester, nell’Aquinas Stadium, ben lontano dalla massima capacità di 20000 persone. L’atmosfera era quella di sempre: gente che di calcio sapeva poco ma aveva una gran voglia di fare festa, mangiare pizza e passarsi bottiglie di vino fatte entrare chissà come. Nessuno di loro si immaginava che quella sarebbe diventata una partita leggendaria. Prima dell’inizio della stagione 1971, il proprietario dei Lancers Charlie Schiano aveva insistito perché si cambiasse il regolamento. A Rochester non piacevano i calci di rigore, li trovavano ingiusti, una lotteria inaccettabile. Gli dei del calcio, capricciosi come pochi, si presero la loro vendetta proprio quella sera.

La partita infinita

L’arbitro John Di Salvatore fischiò l’inizio della partita come previsto, alle 8 di sera, di fronte ad 8302 spettatori che non avevano la minima idea di quello che stava per succedere. Ci sarebbero volute infatti quattro ore (pause comprese) prima che si giungesse al 2-1 definitivo per i padroni di casa, grazie al gol del solito Metidieri, che segnò un minuto prima di mezzanotte, dopo una partita surreale. I padroni di casa si portarono avanti al 18’, quando Seissler trasformò il fallo laterale di Mitchell e tutto sembrava procedere per il meglio. A sei minuti dalla fine del tempo regolamentare, però, Dallas trovò la via del pareggio. Cross dalla destra del terzino Oreco, l’avanti inglese Tony McLoughlin salta più alto dei due centrali di Rochester e la mette dove Claude Campos non riesce ad arrivare. 1-1, tutto da rifare. Alle 10 di sera, dopo la normale sosta, parte il primo overtime da 15 minuti: nessuno si immagina che ne seguiranno ben cinque, uno più pazzesco ed indescrivibile dell’altro. I padroni della Nasl, infatti, si erano dimenticati di aggiornare le regole sul numero di sostituzioni, ancora bloccato a due, abbastanza da trasformare la gara in una mezza barzelletta.

Cosmos Ottawa 2015 ANSA

Il nazionale di Haiti Breton, che prese il posto di Durante al 5’ del primo overtime, ricorda come tutti i giocatori in campo fossero incredibilmente esausti, tanto da esplodere di gioia, non importa quale maglietta vestissero, quando la partita giunse alla fine: “Quando segnò il gol, non fu un sollievo e basta ma gioia incontenibile, non solo per noi che avevamo vinto ma anche per Dallas. Anche se avevano perso, erano solo felici che fosse finita”. L’avanti Manfred Seissler azzardò un confronto per farci capire cosa avevano sofferto in campo: “fu come passare quattro settimane nel deserto senza acqua”. Il tecnico di Rochester, Sal De Rosa, fu più asciutto, definendola la “partita più incredibile che abbia mai visto in vita mia”.

Con le squadre incapaci di segnare un gol e la paura di infortunarsi che cresceva minuto dopo minuto, la partita si trasformò in una vera e propria farsa. Breton ricorda come “ad un certo punto non ce ne fregava più nulla. Tutti pregavano che succedesse qualcosa, che qualcuno ponesse fine alla nostra sofferenza”. Al 165’, il difensore di Dallas Gabbo Gavric fu bloccato dai crampi ma la squadra del Texas aveva già fatto le sostituzioni: invece di lasciare i compagni in dieci, rimase in campo anche se non riusciva a camminare. Breton ricorda come “fu quasi patetico. Ogni volta che la palla arrivava attorno al cerchio di centro campo, dove era lui, riusciva a calciare il pallone. I tifosi sugli spalti applaudivano e lo incitavano”.

Un cambio di scarpe fortunato

La situazione degenerò al punto che alcuni tifosi se ne andarono dallo stadio per tornare qualche tempo dopo. Il portiere di Dallas Cooper non ci voleva quasi credere: “ricordo un ragazzino che sedeva dietro la mia porta. Notai come se ne fosse andato a casa per poi tornare un’oretta dopo, quando sentì alla radio che si stava ancora giocando”. La situazione diventò quasi comica, con lo stesso arbitro disposto a tutto pur di poter fischiare tre volte. Metidieri ricorda come “disse a Roberto Lonardo, un nostro difensore ‘dì a Carlos di andare in area e buttarsi a terra. Gli fischierò un rigore così potremo andarcene a casa’. Aveva da prendere un aereo e gli arbitri guadagnavano poco, al massimo 75 dollari a partita. Il problema è che non riuscivo ad entrare in area: i difensori di Dallas picchiavano come fabbri”. I Lancers ci provarono in tutti i modi, bersagliando l’infortunato Cooper ma il portiere texano era insuperabile. Quando era quasi mezzanotte, Metidieri scherzò con la moglie, che era vicino al campo: “le dissi di prepararmi la colazione, avrei dovuto farcela ad arrivare a casa in un paio di ore”.

George Best Cosmos 1978 Wikimedia

Gli allenatori pregarono il commissioner della Nasl Phil Woosnam in ogni modo di fermare la partita, di deciderla ai rigori o contando il numero di calci d’angolo tirati. Al quinto overtime, il dirigente disse che ci stava pensando. A sbloccare la ridicola empasse ci pensò il miglior attaccante in campo ed una coincidenza fortunata. Gli scarpini di Metidieri erano a pezzi, viste le condizioni penose del terreno di gioco, tanto che fu costretto a cambiarli, mettendone altri con la suola di gomma. Incredibilmente fu abbastanza per cambiare le cose: “penso che mi aiutarono, visto che segnai subito dopo il gol della vittoria”. L’avanti, soprannominato Topolino per i suoi dribbling fulminanti, trovò da qualche parte le energie per un’ultima giocata di classe. “La palla mi arrivò dalla destra, Cooper si buttò e la mancò. Arrivavo dalla sinistra, feci un paio di finte e la colpii senza pensarci troppo. Quando si gonfiò la rete, tutti crollammo a terra esausti”. Cooper per poco non riuscì a respingere il rasoterra di Metidieri ma fu quasi contento quando vide la palla entrare in porta. Nessuno ne poteva davvero più.

La festa durò poco

La scena che gli spettatori videro all’Aquinas Stadium si è vista poche volte su un campo di calcio. Chi era ancora in piedi si lanciò su Metidieri, travolto da una gioia incontenibile. Breton ricorda solo “un mucchio di giocatori, non so come fece a sopravvivere, ci gettammo tutti su di lui ma nessuno sentiva più dolore, eravamo esausti e felicissimi allo stesso tempo. Non ho mai provato niente del genere, anche se di partite da allora ne ho giocate tante. Nessuna vittoria o sconfitta ha mai avuto il sapore di quella festa”.

L’invasione di campo fu incontenibile, come la gioia del pubblico di Rochester, felice di esser riuscito a rimanere sugli spalti fino alla fine. L’avanti ricorda come “per 15 minuti fui portato in trionfo dagli spettatori, come se fossi un pallone da spiaggia. Fu stupendo vedere l’affetto del pubblico, il loro entusiasmo dopo una vittoria tanto sudata. Forse fu il momento più bello della mia carriera”. Normalmente i Lancers festeggiavano le vittorie in un ristorante ma a mezzanotte tutti erano ormai chiusi: il proprietario Pat Dinolfo fu costretto a portarli alla mensa della fabbrica della Kodak lì vicino. Intervistato dagli esausti giornalisti, Metidieri disse che non avrebbe mai voluto andare a letto, che fu davvero una serata unica. L’attaccante commise però un errore: sottovalutare Dallas. “Dopo una partita del genere non ne avranno più. Non avremo problemi a batterli a casa loro”.

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Fonte: Twitter (@PitadinhaH)

I Tornado riuscirono a battere 3-1 i Lancers al Franklin Field di Dallas tre giorni dopo, rendendo necessaria la bella, di nuovo a Rochester. Anche stavolta ci vollero i supplementari per decidere il vincitore e si fece di nuovo tardissimo: dopo 148 minuti interminabili, stavolta fu l’avanti di Dallas Bobby Moffat a segnare il gol della vittoria che valse ai Tornado l’accesso alla finalissima. Dopo aver perso gara 1 conro Atlanta, grazie al gol dell’avanti sudafricano Kaiser Motaung, Dallas riuscì ad aggiudicarsi le altre due partite, portandosi a casa l’unico scudetto della storia della franchigia. Il portiere Cooper ricorda ancora quella pazzesca stagione con entusiasmo: “tutti noi indossiamo ancora l’anello dei campioni. Sono belli, ci sono i nomi e le dati delle partite. Quando gli ricordi poi la partita che durò 176 minuti nessuno ci vuole credere. È la partita più lunga di sempre, nessuno se la dimenticherà mai”.

Quattro anni dopo, successe qualcosa di simile nella finale della ASL, la seconda divisione del campionato nordamericano: in quel 21 settembre 1975 al Memorial Field di Mount Vernon, i New York Apollos affrontarono i Boston Astros ma non bastarono 157 minuti per decidere chi avrebbe vinto il titolo di campione. I mille spettatori rimasero sugli spalti fino a mezzanotte e mezzo, quando il commissioner Bob Cousy decise di assegnare ad entrambe le squadre il titolo, fregandosene dei regolamenti. Nessuno fu felice della decisione ma quando si provò ad organizzare una rivincita, ci si accorse che gran parte dei giocatori erano senza contratto. Un finale pazzesco per un’epoca forse irripetibile del calcio a stelle e strisce.

L’American Way del calcio? Un flop

Dopo una partita nella quale, unica volta nella storia del calcio, furono gli avversari a ringraziare il giocatore che segnò il gol della vittoria, molti si resero conto che le regole creative introdotte dal campionato nordamericano erano state un fallimento su tutta la linea. L’idea di base era che il gioco più bello al mondo, quello che faceva impazzire i tifosi ovunque, non andava bene per gli americani, abituati a tornei più divertenti, meno noiosi. Le regole pensate dalla Nasl nei primi anni ‘70 erano onestamente pazzesche. Invece di un campionato a torneo unico, come succede ovunque nel mondo, per ridurre i costi delle trasferte in un paese grande come il continente, si decise di creare due conferences, ma non Eastern e Western come faceva la Nba; no, Northern e Southern, per riflettere le due anime del calcio a stelle e strisce ieri come oggi. Visto che l’idea stessa di pareggio non è molto americana, invece di dare due punti a chi vince si pensò di darne addirittura sei, tanto da rendere uno zero a zero una mezza calamità. Per spingere le squadre a segnare quanti più gol possibili, si introdussero dei punti extra per ogni marcatura, con un massimo di tre a partita. Per rendere ogni gara interessante, anche quando la regular season è decisa, fu introdotto il familiare formato dei playoff, anche se accorciati visto il numero limitato di squadre. Semifinali e finali ma non andata e ritorno, come succede ovunque nel mondo. Ci mancherebbe altro, qui in America bisogna fare delle serie, come nel basket o nel baseball: chi vince due partite va in finale.

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Fonte: Twitter (@OldFootball11)

La regola più assurda fu quella dei supplementari, la prima ad essere eliminata dai regolamenti del campionato nordamericano ma l’idea che il calcio debba essere “adattato” ai gusti degli americani è rimasta in voga, nonostante siano passati più di 50 anni. Arrivarono i soldi, si provò la strada dei grandi campioni attempati e per qualche tempo sembrò davvero che il soccer potesse trovare posto nei cuori degli sportivi americani. La scommessa riuscì in pieno dal punto di vista mediatico, visto che le partite della Nasl attirarono folle oceaniche, tanto da riempire il cavernoso Giants Stadium di New York quando giocavano i Cosmos di Pelè e Beckenbauer. Alla lunga, però, la Nasl non riuscì a reggere il confronto con le leghe professionistiche americane, che stavano diventando sempre più sofisticate dal punto di vista del marketing. Nel 1984, stanchi di perdere soldi, i proprietari delle franchigie decisero di chiudere bottega.

Ibrahimovic Galaxy 2018 ANSA

Ci sarebbero voluti 12 anni ed il mondiale del 1994 perché il calcio riprovasse a conquistare l’America con la Major League Soccer. Dopo la fallimentare stagione dei Galacticos di Los Angeles, dei Beckham e Ibrahimovic pagati a peso d’oro, la Mls sta finalmente guadagnando terreno e, soprattutto, tanti tifosi. Ad Atlanta, ad esempio, le partite dello United attirano quasi più attenzione di quelle dei derelitti Falcons, franchigia Nfl che non si è mai ripresa dopo l’umiliante rimonta subita nel Super Bowl da un certo Tom Brady. Ora Messi fa meraviglie a Miami ma il pubblico sembra esserci, come la base di giocatori ed una generazione di talentuosi calciatori americani che stanno facendo la gioia dei tifosi europei.

Chissà, forse tra qualche anno il calcio si prenderà di prepotenza il posto che merita nell’olimpo degli sport americani. Dubito che riusciremo a convincerli a chiamarlo football ma le stelle sembrano finalmente allineate. Senza le pazzie degli anni ‘70 e quell’insensata partita di Rochester, della quale non esistono filmati o foto su Youtube, il calcio e gli Stati Uniti non avrebbero mai trovato il modo di convivere.

Una cosa è certa: gli 8302 fortunati spettatori quell’interminabile, assurda serata non la dimenticheranno mai.

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