D'accordo, l'ha già fatto, ma si trattava di una semplice amichevole. Non può mica aspettarselo nessuno, che quello si ripete anche quando il calibro della partita è alquanto più elevato. Lui si chiama Ricardo Paciocco, venezuelano di nascita, padre abruzzese e madre argentina. Una miscela di fattori che, forse, concorrono a renderlo maggiormente imprevedibile. Di mestiere fa l'attaccante e gioca in B, per la Reggina. L'anno è il 1990.
In settimana la sua squadra è stata impegnata in amichevole contro la Nazionale Militare. Rigore per i granata. Sul dischetto va proprio lui e spiazza un certo Luca Marchegiani, che un attimo dopo gli corre incontro per abbaiargli in faccia tutto il suo disappunto. Paciocco, infatti, ha calciato dagli undici metri di rabona. Negli spogliatoi il tecnico Bruno Bolchi lo riprende aspramente: "Guarda che non si fa, è una presa in giro nei confronti dell'avversario". Ma lui, ostentando sicurezza, fa spallucce: "Guardi mister che io i rigori li calcio sempre così, anche se mi capita in campionato lo tirerò così". Bolchi alza il sopracciglio e minimizza: "Sì, certo. Vorrei proprio vedere. Non ti azzardare più".
Solo che Paciocco non è un impunito o uno smargiasso. Semplicemente, obbedisce alla sua vocazione interiore all'estro. Quell'intuito primitivo è una voce che comanda gli arti e stabilisce esattamente quello che va fatto. Così, quando nel weekend si ripresenta l'occasione, Ricardo manda tutti fuori di testa. Solo che adesso è campionato. Solo che adesso è serie B. Il 13 maggio 1990 si gioca Triestina-Reggina e gli ospiti possono ancora sognare di fare il salto di categoria.
Sull'1-1, a quindici minuti dalla fine, il direttore di gara fischia un rigore per la Reggina. Sul dischetto si presenta proprio lui, Paciocco. Quel penalty, dunque, è pesantissimo. Lui però è guidato unicamente dalla sua legge interiore. Dalla curvatura della rincorsa, Bolchi fa appena in tempo ad intuire che qualcosa non va. "Ma che fa? Calcia di sinistro?", ipotizza preoccupato. Dalla panchina alcuni compagni di Paciocco lo trafiggono: "Eh no mister, calcia di rabona".
Bolchi prova a cacciare un urlo per fermarlo, ma è troppo tardi. Esecuzione folle di rigore potenzialmente decisivo per le sorti di una stagione (spoiler, la Reggina comunque non riuscirà a salire) avviata. Qualche passo, il portiere avversario tratto in inganno, il movimento del piede ad incrociare: è una sequenza mistica che si conclude nel migliore dei modi. Gol. Solo che nessuno ci capisce niente. L'arbitro ci mette un po' a comprendere che è tutto buono e deve convalidare. Lo stadio ammutolisce, fino ad erompere - nello spicchio ospite - quando capisce che è tutto buono. Difficile anche arrabbiarsi, visto che la comprensione del gesto è scarsa.
Quello resta, dunque, il primo rigore segnato di rabona nella storia del calcio professionistico. Paciocco, in realtà, si diletterà con questa giocata, colpi di tacco, veroniche e altri numeri circensi per tutta la carriera.
Provocando spesso travasi di bile agli allenatori di turno, tra cui Mazzone e Fascetti. L'irriverenza che sgorga dalle origini sudamericane però non la contieni. Paciocco i rigori li tira di rabona. Con buona pace di chi il coraggio non ce l'ha.
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