Calcio

Come ti risollevo Adidas in un anno: l'ex calciatore che ha cambiato tutto

Chiamato a gennaio di un anno fa dal colosso che contava perdite per oltre 700 milioni di dollari, Bjorn Gulden ha applicato una ricetta che gli serviva anche in campo: "Qua la gente si era scordata come si fanno le cose semplici"

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Chissà se mentre tirava calci nella seconda serie tedesca, la maglia del Norimberga da sudare nella metà degli anni Ottanta, avrebbe mai pensato che quei principi lì gli sarebbero tornati utili in seguito. Evitare i vezzi. Giocare semplice. Che spesso la differenza nel risultato finale la fanno proprio le cose essenziali. Più di trent'anni dopo, il norvegese Bjorn Gulden ha sollevato la cornetta del telefono per scoprire che sì, quel principio restava ancora valido. "Vogliamo che tu torni a dirigere Adidas, le cose non stanno funzionando", è il senso della chiamata ricevuta poco più di un anno fa, quando il colosso tedesco zampillava perdite per oltre 700 milioni di dollari.

Perché Gulden, che era già stato in azienda negli anni Novanta, poteva davvero possedere la ricetta per invertire la rotta. Le cose si stavano mettendo male, per Adidas, specie dopo il sanguinoso fallimento della collaborazione con il rapper Kanye West. Roba da oltre 1 miliardo di euro di merce invenduta. Allora Bjorn, che in carriera aveva giocato anche in squadrette norvegesi, prima di essere fermato da un brutto infortunio, aveva deciso di giocarla su tre valori applicati da calciatore: fiducia, impegno, semplicità.

La prima mossa era stata quella di fornire tutti i suoi contatti ai 60mila dipendenti di Adidas, allegando un messaggio nitido: "Non fatevi problemi a chiamarmi, se avete qualche dubbio". Nell'arco del primo mese aveva ricevuto circa duecento telefonate a settimana. "Ma era necessario - dice Gulden - perché avevo bisogno dei feedback da parte delle persone che lavoravano qui. La grande maggioranza diceva che dovevamo cambiare tutto". E lui le ha ascoltate, ad una ad una. Fiducia: fondamentale averla e riporla, se vuoi che la squadra giri.

Adidas Samba
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Poi è arrivato l'impegno. Bjorn ha trasformato una piaga lacerante in una straordinaria iniezione per il brand, donando in beneficenza ad enti impegnati nella lotta contro il razzismo parte del ricavato dalla vendita dell'inventario delle Yeezy, le scarpe fino ad allora rimaste al palo. Poi ha cominciato a studiare a fondo i suoi giocatori, accorgendosi che ai vertici mancavano veri cultori dello sport. Non solo del basket o del calcio. "Cerano troppe anatre zoppe", ha commentato in seguito, dopo aver ripristinato accordi pregressi con la nazionale di cricket indiana e con il mondo del rugby. Manovre che hanno risollevato l'azienda a colpi di centinaia di migliaia di acquisti.

"Se in campo non rischi nulla, non vinci", ha aggiunto. Troppa gente era sotto i suoi standard per mancanza di autostima. Ma, oltre a questo, interi comparti riuscivano ad incasinarsi con strategie kamikaze, avvitandosi in garbugli inestricabili. Serviva, invece, giocare semplice. "Da queste parti avevano scordato come si facessero le cose facili". Una serie di analisi di mercato ha svelato in fretta come il pubblico amasse certi tipi di articoli che dischiudevano sapori vintage, come le adidas Samba. Si è trattato di rimetterle in pista. Touché.

Così, nel giro di un anno, Adidas vede filtrare di nuovo la luce e si avvia a rimettersi finanziariamente in pari.

Il calcio, del resto, ha sempre ammiccato alla vita vera.

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