E pensare che il clima era del tutto surreale fino ad una manciata di mesi fa. Squadra lanciatissima verso la sua prima promozione in Serie A, ma poi quella notizia a mandare tutto di traverso: il tecnico Elio Gustinetti già accordatosi con l'Empoli per l'anno dopo, a campionato ancora in corso. Roba che aveva provocato un travaso di bile al presidente Lillo Foti, che subito aveva imbracciato la mannaia: ti credevi furbo? E io ti caccio. Al suo posto arriva la mascella solenne di Bruno Bolchi, che conduce con sicurezza la nave fino al porto così agognato. E una volta sceso a terra, Foti silura pure lui. Il timoniere nella massima serie deve essere Franco Colomba, uno che qui ha già allenato.
La squadra pare decentemente costruita, ma servirebbe sfregare una sfera di cristallo per comprendere come riuscirà a reagire all'onda d'urto della categoria superiore. In porta si alterneranno a metà stagione Orlandoni e Taibi. Dietro sono chiamati alla tenzone con i voraci attacchi altrui Cirillo, Stovini, Giacchetta e altri onesti mestieranti. In mezzo giostra un tizio dai capelli fulgidi e biondissimi, il portamento regale, le movenze compassate, il lancio sublime: è Roberto Baronio, ha vent'anni, non sa che quel ruolo gli verrà in futuro scippato in nazionale da Pirlo. Pure lui, il Maestro, fa parte della combriccola: è lo sherpa chiamato a disegnare sentieri rilucenti e sicuri per le punte, visto che gioca subito dietro, da trequartista. Davanti, invece, c'è un ragazzo della Sierra Leone che se ne infischia del bigottismo numerico: indossa il numero 2 e si chiama Mohamed Kallon. Sarà il cannoniere di quella stagione.
Completano l'armata amaranto i Ciccio Cozza e i Pozzanzini, Morabito e Bernini che fluttuano ai lati del 3-5-2 Colombiano, i polmoni d'acciaio del serbo Nenad Pralija e poco più. L'esordio è una scaletta che conduce a sguazzare all'inferno: contro la Juve, a Torino. Quando Filippo Inzaghi la sblocca, il Delle Alpi pregusta già uno scarto abbondante. Invece al 47' Kallon gela tutti, la Reggina non si disunisce e strappa il pareggio. La gente esce dallo stadio con le pupille sgranate. Nella giornata successiva, quella dell'esordio in casa in Serie A, al Granillo ci sono 25mila spettatori. Arriva la Fiorentina e Colomba ne rattrappisce le ambizioni: 2-2, ancora Kallon e l'altro attaccante, l'argentino Reggi. Alla terza, vittoria a Bologna con Possanzini. Alla quarta successo interno con un gol di Cirillo. Reggio Calabria sogna e non ha nessuna intenzione di prendersi a pizzicotti.
L'incanto svanirà da lì a poco, quando la compagnia inizierà ad imbarcare una prima sequela di sconfitte. Ma il gruppo non si scuce e reagisce. Ne viene fuori accorciando le distanze tra i reparti, sfruttando la dedizione della manovalanza pallonara che lo compone e corre per due, appoggiandosi sulle intuizioni dei leader carismatici Pirlo e Baronio, che si inventano assist, punizioni chirurgiche, palloni nascosti in serie agli avversari.
Così, alla 14esima, arriva un epico pareggio a San Siro contro il Milan di Sheva, viene fermata la Lazio, Cozza e Cirillo incidono un impensabile 0-2 esterno contro la Roma, Possanzini inchioda sull'1-1 anche l'Inter.
Una piccola impresa meridionale che vale l'undicesimo posto in stagione. Roba che non ci avrebbe scommesso nessuno. Lillo Foti adesso si sfrega le dita, alquanto compiaciuto per le sue scelte. Quanto ha viaggiato la sua Reggina nel 2000.
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