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Le campagne sono rimaste senza zucchero. Così l'Europa ci ha messo ko

La tradizionale coltura della barbabietola della Pianura Padana è in crisi: in tutta Italia sono rimasti tre impianti produttivi. E Francia e Germania ci hanno guadagnato

Le campagne sono rimaste senza zucchero. Così l'Europa ci ha messo ko

Montagne di zucchero dividono Francia e Germania dall'Italia. I due Paesi che dettano regole di comportamento economico su tutto stanno anche brigando per ridurre, e forse cancellare, la coltivazione della barbabietola in Italia. L'asse Parigi-Berlino funziona alla grande dopo che, il 30 settembre scorso, il regime delle quote produttive fissato da Bruxelles è stato eliminato come esito finale della riforma varata nel 2006. C'erano una volta le quote latte, e parallelamente vigevano le quote zucchero. Ma con l'abolizione dei tetti produttivi che per anni hanno armonizzato le colture nei Paesi dell'Unione europea, Francia e Germania hanno spinto sull'acceleratore, facilitati anche dal clima che a nord delle Alpi è più favorevole per questa pianta e ne moltiplica le rese. Così a fine anno lo zucchero franco-tedesco ha fatto segnare una crescita del 20 per cento rispetto all'anno precedente. Previsioni analoghe si fanno per il 2018-19.

Il risultato? I due Paesi si sono ritrovati a fare i conti con un'eccedenza di 3,5 milioni di tonnellate da commercializzare. E gli altri mercati devono subire un crollo dei prezzi. Chi ne ha fatto maggiormente le spese è stato lo zucchero italiano, una coltivazione tradizionale della pianura padana orientale, in Veneto ed Emilia Romagna. Da 600 euro a tonnellata, il valore dello zucchero alla produzione è crollato a 350 euro. Un ribasso di oltre il 40 per cento, un livello sotto costo, non sostenibile per la filiera.

Così i produttori italiani, che già devono fronteggiare la concorrenza internazionale di Paesi come Brasile, India e Thailandia, i maggiori produttori mondiali, sono costretti a guardarsi anche dal dumping interno all'Ue.

LE NUOVE GALLINE D'ORO

Un nome storico come Eridania, che aveva 7 stabilimenti nel 2003, è stato acquisito dai francesi di Cristal Union i quali hanno tagliato l'intera produzione in Italia. La barbabietola rischia di aggiungersi a colture come grano e mais che hanno garantito il sostentamento a generazioni di famiglie nel Nord e ora progressivamente spariscono dalle campagne padane perché sempre meno remunerative. Resistono soltanto i coltivatori che si trasformano in viticoltori, convertendo i campi in vigneti. Prosecco e pinot sono le nuove galline dalle uova d'oro.

Nel 1948 in Italia si contavano 62 zuccherifici. Nel 2003 si erano ridotti a 19, concentrati soprattutto nelle campagne di Bologna, Ferrara, Padova, Forlì, ma presenti anche in Lombardia, Lazio, Sardegna e lungo la dorsale adriatica. Lo zucchero made in Italy rappresentava il 17 per cento della produzione dell'Unione europea e copriva tre quarti del fabbisogno interno. Oggi gli impianti produttivi in tutta la penisola sono 3. In dieci anni la produzione è crollata da 1,4 milioni di tonnellate a 300mila, perdendo quasi l'80 per cento dei quantitativi. È un drammatico paradosso: l'Italia è il terzo mercato per il consumo di zucchero in Europa con 1,7 milioni di tonnellate grazie soprattutto all'importanza dell'industria dolciaria, che assorbe l'80 per cento della domanda; e pur avendo le potenzialità di coprire larga parte del fabbisogno è costretta a importare quantità rilevantissime. La progressiva concentrazione produttiva in pochi Paesi condurrà a un oligopolio che di fatto avrà mano libera nel determinare i prezzi. E visto che c'è di mezzo la Germania, non è affatto detto che l'autorità europea per la concorrenza interverrà a riequilibrare la situazione.

Dei tre zuccherifici italiani ancora attivi, due appartengono a Coprob, Cooperativa produttori bieticoli fondata nel 1962 che è rimasta il baluardo dell'attività saccarifera in Italia, mentre il terzo è di Sadam del gruppo Maccaferri. Quindici anni fa i centri di lavorazione della barbabietola targati Coprob erano 7. Al consorzio, che è sul mercato con il marchio Italia Zuccheri, conferiscono settemila aziende agricole che assommano 36mila ettari di terreni coltivati in Emilia Romagna e Veneto.

IL PATTO PER NON MORIRE

«Contiamo su 500 dipendenti e 5.500 soci conferenti dice Claudio Gallerani, il presidente oltre a 1.500 coltivatori conferenti non soci e altrettante imprese dell'indotto: trasporto, macchinari agricoli, manutenzioni, commercializzazione». I due stabilimenti sopravvissuti alle falcidie si trovano a Minerbio (Bologna) e Pontelongo (Padova).

La risposta dei coltivatori italiani si muove su due fronti. C'è la battaglia politica da condurre, in Italia e in Europa. È stato chiesto lo stato di crisi del settore, messo in grave pericolo dal crollo dei prezzi, ed è stato lanciato un «patto per lo zucchero italiano» al quale ha subito aderito l'Alleanza delle coop agroalimentari: «Questa crisi di mercato si aggiunge a uno scenario che vedeva già il comparto saccarifero indebolito dai pesanti contraccolpi di una riforma del settore che ha chiuso 16 stabilimenti su 19», dice il presidente dell'Alleanza, Giorgio Mercuri. Ha aderito Federagri dell'Emilia Romagna mentre anche il Veneto leghista e l'Emilia rossa si ritrovano dalla stessa parte: gli assessori Giuseppe Pan e Simona Caselli hanno fatto pressione sugli europarlamentari del Nordest.

LA BEFFA

«Non basta fare catenaccio tra regioni e associazioni spiega Pan -. Bruxelles deve affrontare gli squilibri creati dalla liberalizzazione del mercato e valorizzare la competitività di filiere agroalimentari sane». La regione Veneto ha lanciato un bando che finanzia fino a 200 euro a ettaro per le superfici coltivate a barbabietola. A Bruxelles con un'interrogazione si è fatto sentire anche l'ex ministro dell'Agricoltura Paolo De Castro, oggi vicepresidente della Commissione agricoltura dell'europarlamento: «I produttori di barbabietole del Sud Europa non devono essere beffati due volte, prima con la fine delle quote di produzione e poi come mercati di smaltimento dei surplus provocati dai partner nordeuropei».

Parallelamente alla mobilitazione sul fronte comunitario, i produttori hanno anche investito nell'innovazione. Gallerani la chiama «bieticoltura 4.0», un'agricoltura di precisione: Coprob ha lanciato il Nostrano, primo e al momento unico zucchero grezzo di barbabietola in Europa, e parallelamente ha destinato 150 ettari a prove di coltivazione biologica. Nella crisi i bieticoltori hanno scelto di seguire la strada di altri settori agricoli che hanno puntato all'innovazione e all'eccellenza del made in Italy. Lo zucchero grezzo di bietola lancia la sfida a quello di canna. Invece quello biologico arriverà sul mercato nel 2019: «Abbiamo investito 180 milioni di euro per ammodernare gli stabilimenti e dotarci di macchinari robotizzati per togliere le male erbe senza ricorrere a diserbanti spiega Gallerani -. Sostituiscono zappa e lavoro manuale con estrema precisione. E abbiamo anche la collaborazione dell'industria chimica nel trovare biofertilizzanti.

Sarà l'unico zucchero al 100% italiano tracciato dal campo alla tavola».

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