Roma

Campodimele, le meraviglie del paese della lunga vita

Il più alto comune della provincia di Latina, è celebre per i suoi «centenari» e per la splendida cinta muraria

Da Campodimele, il comune più alto della provincia di Latina, lo sguardo vaga dai monti Lepini e Ausoni al lago di Fondi e alle spiagge di Sperlonga, Formia, Terracina fino a lambire la scogliera che, a San Felice, nasconde ancora le magie incantatrici della mitica Circe. Il piccolo borgo, raggrumato su un cocuzzolo piuttosto aspro, ma pur sempre molto suggestivo, oggi lo si raggiunge arrampicandosi lungo l’ammodernato fondo stradale che insegue il più antico tracciato borbonico che può essere imboccato o partendo da Itri o percorrendo la strada che, da Ceprano, unisce la via Casilina all’imperiale via Appia. Le ridotte dimensioni del paese sono largamente compensate dalle caratteristiche del paesaggio e dalla qualità della vita che ha fatto di Campodimele il paese della longevità, oggetto di numerose e ripetute spedizioni scientifiche da parte di geriatri italiani e stranieri, sollecitati a scoprire il miracolo dei tanti centenari che si riscaldano, d’inverno tra gli accoglienti vicoli che distinguono l’assetto urbano del minuscolo abitato, o che, d’estate, si riposano sotto l’ombra lunga degli alberi della piazza principale. C’è da annotare, infatti, che a Campodimele, vuoi per la salubrità dell’aria, vuoi per la genuina alimentazione, caratterizzata anche dall’uso del miele della migliore qualità (come suggerisce il toponimo da Campusmielis), il nettare delle api si trova in abbondanza e molti sostengono che proprio in questo consiste la vita straordinariamente lunga della maggior parte dei Campomelani. Il borgo fu uno dei baluardi collinari del ducato di Fondi e nel periodo del suo massimo sviluppo, ossia a partire dalla fine del XIV secolo, appartenne alla potentissima famiglia romana dei Caetani. I quali si distinsero nella creazione di sistemi difensivi attraverso una rete di nuclei abitati più che di torri isolate. E Campodimele entrò a far parte integrale di questa strategia. Vegliando sui traffici che scorrevano dall’interno verso il mare ed evitando in questo modo, come rivela un anonimo cronista, «catastrofi, incendi e distruzioni».
Da vedere. Quando si giunge a Campodimele, il primo impatto è con la sua bassa ma poderosa cinta di mura che fu edificata in età medievale. Essa si presenta intervallata da 11 torri semicilindriche e dà un’immagine di forte compattezza al piccolo agglomerato di case che doveva proteggere. Nella chiesa di San Michele Arcangelo si conserva un bel trittico raffigurante la Vergine tra San Sebastiano e San Rocco. Ma il paese, oltre a offrire il suo ricco ricamo di vicoli e di viuzze che hanno vinto l’oltraggio del tempo, si raccomanda al visitatore come una naturale balconata aperta a una veduta esclusiva del monte Faggeto e del monte Ruazzo, luoghi che suggeriscono eccezionali emozioni escursionistiche. E, a proposito di escursioni, è difficile sottrarsi alla suggestione di una visita al diruto monastero di Sant’Onofrio, complesso conventuale edificato in età medioevale dai benedettini di Montecassino.
Da mangiare e da bere. La cucina campomelana si combina con una varietà di ingredienti, anche poveri, fino a trasformarli in piatti semplici ma ricchi nel gusto. In quest’area più che collinare, la sfoglia di pasta viene ancora tirata a mano. I sughi vanno da quelli più elaborati, a base di carne, pomodori, e un misto di ortaggi, a quelli a base di funghi porcini. E perciò non meravigli un menù tipico di Campodimele che può comprendere, a seconda delle stagioni e in omaggio a colture silvi-pastorali, «ciammotte ammuccate» (lumache aromatizzate con menta ed altre erbe), caprettone, polenta al cinghiale, zuppa di fave o di fagioli, cicerchie (legumi simili ai fagioli), formaggi e ricotta, «laina» con fagioli, «tortoli» e «ristampate».

I vini arrivano dalla pianura: dal Circeo e da Aprilia.

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