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Il caporalato, una piaga da 5 miliardi

Oltre 400mila gli addetti sfruttati. La chance del lavoro in affitto

Onofrio Lopez

Il settore agricolo in Italia vale 32 miliardi di euro, cioè il 2% del valore aggiunto complessivo prodotto nel nostro Paese. Secondo quanto evidenziato da The European House Ambrosetti e Assosomm sulla base dei dati Istat 2015, l'incidenza dell'economia sommersa sul valore aggiunto si attesta al 15,4%, un dato superiore alla media nazionale (13%). Ma quanto «fattura» il caporalato, cioè il reclutamento da parte dei cosiddetti «caporali» di manodopera sottopagata, senza tutele e soprattutto soggetta alla violenza? Tra i 14 e i 17 miliardi di euro, ha sottolineato la Flai-Cgil nel terzo rapporto «Agromafie e caporalato» pubblicato nel 2016 che ha ricostruito la condizione dei braccianti costretti al giogo dell'illegalità.

Il dato più sorprendente è la diffusione di questo fenomeno criminale su tutto il territorio italiano e non solo nel Mezzogiorno che ha purtroppo una lunga tradizione di sfruttamento illegale del bracciantato. Tanto il Monferrato e le Langhe quanto il Chianti ricorrono alla forza lavoro in nero per la raccolta dell'uva, mentre nel Lazio meridionale si è formata una colonia di oltre 13mila immigrati indiani, stipendiati circa 400 euro al mese per la raccolta della frutta. Le vittime del caporalato. Gli operai agricoli che si consegnano all'illegalità in cambio di un lavoro, sebbene il salario sia dimezzato rispetto a quello previsto dal contratto nazionale, sono un esercito di oltre 400mila persone, sottolinea la Flai-Cgil. Nemmeno la nuova legge caporalato ha rappresentato un deterrente per il fenomeno nonostante inasprisca le pene.

La soluzione del problema, dunque, non può essere giudiziaria. E forse una spiegazione di questa deriva che consegna una parte importante della forza lavoro alle organizzazioni criminali sta anche nella mancanza di innovazione nel reclutamento. La presenza nel settore agricolo delle agenzie per il lavoro, ricorda il report Ambrosetti-Assosomm, riguarda solo l'1,2% del totale degli avviamenti in somministrazione. Questi ultimi rappresentano, infine, lo 0,63% sul totale dell'occupazione in agricoltura.

Numeri che indicano come il comparto debba ancora compiere un salto di qualità nella gestione delle risorse umane.

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