Cultura e Spettacoli

Come Carlos Saura ha saputo tradire il povero Lorenzo Da Ponte

Il resista spagnolo in un film mal diretto e peggio recitato riduce la figura del librettista di Mozart a semplice fornicatore, offuscando la sua geniale figura di illuminista settecentesco in grado di vestire nella sua lunga esistenza, 89 anni vissuti tra Venezia, Vienna, Londra e New York, i panni di abate, giocatore d'azzardo, librettista, impresario teatrale, commerciante di granaglie, distillatore di whisky, titolare della prima cattedra di italiano alla Columbia University

Ma si può fare un film biografico e sbagliare l'età del protagonista? Si, si può fare anche se ci si chiama Carlos Saura autore con «Io, Don Giovanni» forse del peggior film della sua vita: brutto nella forma e ne contenuto, mal diretto e peggio recitato. Povero Lorenzo Da Ponte, fiore tra i fiori del miglior illuminismo: ha atteso 170 anni che qualcuno si ricordasse di lui e guarda che ti combina il regista spagnolo.
A parte farlo morire a 87 anni invece che a 89, Saura ci mostra Da Ponte che, appena arrivato a Vienna nel 1781, saluta Wolfgang Amadeus Mozart con la stretta di mano massonica, quando il compositore si iscriverà alla loggia «Beneficenza» solo nel dicembre del 1784. Poi si presenta ad Antonio Salieri in un teatro viennese, fa appena in tempo a scandire il suo nome che arriva l'imperatore Giuseppe II. Eppure il musicista veronese subito dopo, su richiesta del sovrano, sciorina la completa biografia del connazionale mai incontrato prima. «Scriva per Mozart, ha tanta voglia di musicare un'opera italiana» lo invita Giuseppe II, peccato il genio di Salisburgo ne abbia già scritte 16 di opere in italiano. Il «Don Giovanni» si chiude con il sestetto «Questo è fin di chi fa mal» non con il protagonista scagliato all'inferno dal fantasma del Commendatore come fa vedere Saura. Banale poi la figura di Mozart, solito genio ebete e senza il becco di un quattrino, quando il compositore austriaco parlava più lingue, l'italiano a menadito, possedeva una ricca, per l'epoca, biblioteca, e guadagnava molto bene.
Potremmo andare avanti ancora per molto, ma quello che veramente colpisce in questo pessimo film è proprio l'incapacità di cogliere la somiglianza, che per altro c'è, tra Da Ponte e Don Giovanni, limitandola alla sola frenetica vita sessuale. Personaggio stravagante, in mezzo ai numerosi arresti per debiti, Da Ponte scrisse i più bei libretti per Mozart, Salieri, Martin, Gazzaniga, gestì teatri, commerciò in granaglie, distillò whisky. Ma soprattutto aprì librerie italiane in Inghilterra e America, insegnò la nostra lingua a Vienna, Londra e Washington dove nel 1825 fu chiamato dalla Columbia College, ora University, a ricoprire la prima cattedra di lingua e letteratura italiana. Una «vita esagerata», altro che Vasco Rossi.
Nato Emanuele Conegliano nel 1749, cioé ebreo, a Ceneda, viene convertito e battezzato dal vescovo Lorenzo Da Ponte, da cui prende il nome. Il porporato lo manda a studiare in seminario, dove si distingue per acutezza d'ingegno, un po' meno per fervore religioso. Si trasferisce a Venezia, ma più che la cura delle anime, si dedica alle belle donne e al gioco d'azzardo. E la Serenissima lo caccia a pedate dai suoi possedimenti. Dopo una breve tappa a Gorizia, dove si segnala per le consuete intemperanze, nel 1781 approda a Vienna e diventa poeta di corte di Giuseppe II, affermandosi per un decennio come il più ricercato librettista. In particolare da Wolfagang Amadeus Mozart che si sfogherà con il padre: «Speriamo Da Ponte accetti di scrivere il libretto delle "Nozze di Figaro"». Da Ponte accetterà quell'incarico e anche i successivi per il «Don Giovanni» e «Così fan tutte». Nel '91 muore l'imperatore e lui, sopravissuto al tentativo di avvelenamento da parte di un rivale in amore, deve nuovamente fare le valige, come al solito inseguito da debiti e cambiali. Approda a Praga, dove reincontra Giacomo Casanova conosciuto a Venezia nel 1777, vuol dirigersi a Parigi, ma i fermenti rivoluzionari lo induco a dirottare su Londra. Qui apre una libreria italiana e diventa impresario teatrale. Altri debiti, altri cambiali, altro carcere, quindi nel 1805 la fuga in America. Qui si riprende da due rovinosi incidenti in carrozza che lo lasciano più morte che vivo, da sequestri e occasionali soggiorni nelle patrie galere, per poi risorgere ancora un volta. Diventa l'insegnate di italiano della ricca borghesia di Washington, ricomincia a gestire teatri, organizzando la prima americana del suo «Don Giovanni», apre la solita libreria italiana. E a 76 anni la definitiva consacrazione: professore di lingua e letteratura italiana alla Columbia. Morirà nel 1938 riverito e stimato, duemila persone seguiranno i funerali. Curiosamente, come per Mozart, le sue spoglie andranno perse, e ora solo un monumento funebre al cimitero del Calvario a Queens, ricorda il passaggio in terra americana di questo grande italiano.


E Saura lo riduce a un semplice e banale fornicatore? Chiediamo scusa a questo genio eclettico e speriamo che, a queste condizioni, mai più qualcuno si ricordi di lui in futuro.

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