Cultura e Spettacoli

CASANOVA Fedele e mammone altro che seduttore

CASANOVA Fedele e mammone altro che seduttore

Ormai è vecchio e sdentato. Scrive dieci ore al giorno prendendosi la rivincita contro la crudeltà del tempo, contro servitori che nulla sanno dell’importanza del suo passato, del suo lignaggio culturale e delle tremila pagine immortali che lo impegnano con nostalgica gioia. Giacomo Casanova (1725-1798) è nel castello di Dux in Boemia, assediato dalla morte, dalla Rivoluzione francese che incombe al di là delle montagne, dall’assenza di un pubblico che lo applauda e si stupisca di lui. Scrivere Histoire de ma vie è lo strumento migliore per raggiungere quella vetta che né i suoi natali né la sua funambolica esistenza potevano permettergli. La cima della grandezza.
Lui, figlio di due attori e nipote di un ciabattino della laguna veneziana, decide di percorrere per la seconda volta la propria vita perché il godimento non abbia fine, grazie a una memoria prodigiosa, e per vendicarsi di un presente opaco e misero. È la prima volta che l’avventuriero si distoglie dal presente e torna a un passato nel quale di nuovo poter ballare, recitare e amare le donne. Ricostruisce il proscenio, dove vincono ancora le sue doti: l’arte della conversazione, «il gusto testardo della felicità», la facoltà di ingannare e sedurre, la tracotante volontà di ribaltare la fortuna in ogni momento.
Casanova s’intitola il libro (Fazi, pagg. 278, euro 15) di una scrittrice che è anche psicoanalista, Lydia Flem, la quale, senza la pedanteria e le forzature che spesso affiancano la psicologia e chi la pratica, fa un esame intelligente e affettuoso di un grande del Settecento e ce lo porge dolcemente inducendoci alla riscoperta di un secolo attraverso la poderosa e acuta sensibilità di un uomo che solo gli sciocchi o gli ignoranti considerano uno sciupafemmine da quattro soldi.
Lydia Flem segue passo passo la vita del veneziano partendo dal momento in cui lui amoreggia con l’ultima sua amante: la scrittura. Casanova scrive in un superbo francese e con questo grimaldello evoca i sapori forti della sua miglior stagione, la delicatezza della sua anima, il suo istrionismo. Non a caso è un veneziano che flirta con le pagine, visto che la parola è per lui una maschera (la «bautta» della Laguna), l’elemento che confonde gioiosamente i generi e l’identità sociale, come in un eterno carnevale. E così era accaduto nella realtà, quando si divertiva a prendersi gioco dei ruoli e a «confondere i confini tra il certo e l’incerto».
Inevitabile, per chi vuole conoscerlo da vicino, soffermarsi sul rapporto che Casanova ebbe con i genitori. Suo padre Gaetano, ballerino e attore, rapì quella che sarebbe poi diventata sua moglie, Zanetta. Donna di grande fascino e bellezza, ma anche madre distratta e lontana. Il padre morì a trentasei anni, poco dopo che Giacomo gli ebbe rubato uno zecchino dalla tasca facendo in modo che il colpevole fosse individuato nel fratello, immediatamente punito. Un piccolo episodio, questo, che però divenne un marchio nell’anima di un ragazzino balbettante, considerato addirittura un po’ ebete, malato di epistassi, debole a tal punto da non essere considerato degno di un qualsiasi futuro. Ci pensò la nonna Marzia a salvarlo: con un rito magico cui parteciparono streghe e sedicenti tali, le quali misero il piccolo in una bara e per tutta la sera recitarono e ballarono secondo un canone che di cristiano non aveva proprio nulla. Fu la nonna ad avvertirlo: stai buono, stanotte verrà una bellissima e misteriosissima donna a ridarti il paradiso della salute con una carezza. Casanova, pur sempre curioso di cabala e di universi misterici, mai aderì alla verità dell’episodio raccontatogli (e vissuto), ma nemmeno lo negò. Fatto sta, annota Lydia Flem, che credette sempre «nell’onnipotenza femminile e nell’impotenza maschile». Ciò spiegherebbe anche la sua propensione a ingannare le autorità, siano esse carcerieri (come ai Piombi) o figure rozze e tracotanti in un secolo dove quel che importava era solo la posizione sociale. Scrive Lydia Flem: «Convivono in lui l’insolente desiderio di essere al di sopra delle leggi e il segreto bisogno di scontare le sue trasgressioni».
Reimpossessatosi della salute, Giacomo impara a leggere e scrivere in un solo mese, legge di tutto, studia, assimila come una spugna e impara dal poeta Giorgio Baffo una cosa fondamentale: mai cedere il passo dinanzi alle proprie convinzioni, a costo di essere deriso. E sarà al cospetto della madre, in partenza per Londra, a stupire con versi latini di sua invenzione. L’orgoglio sorridente della mamma è il primo regalo che ottiene dal mondo femminile. E su questa strada s’incammina. Con una dose straordinaria di ardimento, sempre al confine con l’improvvisazione o l’impostura: dotto in diritto e in filosofia, non esita a partecipare, a Parigi, alla fondazione della lotteria, conversa amabilmente con la marchesa di Pompadour e diventa spia di Luigi VI, con Caterina di Russia discute del calendario gregoriano e le propone di introdurre la coltura del gelso. Con i balordi è truffaldino, con gli uomini d’onore è corretto. La sua più duratura e appassionata amante, la misteriosa Henriette, lo ricompenserà con questa verità: «Sei l’uomo più onesto che abbia mai conosciuto». A trentacinque anni incontra Voltaire e non sfigura parlando di Ariosto, Omero, Petrarca e Goldoni. È lo stesso uomo che s’imbelletta, che prende lezioni di ballo, che si sfianca a danzare minuetti e furlane, che falsifica la firma su una cambiale, che lascia diverse città perché a disagio o perché colto in fallo.
Collezionatore di femmine? Per niente, anche se ne ha avute tantissime. Il suo non è un vanesio catalogo, semmai il ricordo di donne con le quali ha sempre cercato di mantenere vivi i rapporti, atterrito all’ipotesi di abbandonarle e farle soffrire. Non è superficiale, anche se in galoppo alla ricerca della voluttà: «L’amore solido - scrive nelle sue memorie - è quello che può nascere dopo il piacere: se nasce, è immortale; l’altro invece è destinato a svanire, poiché ha sede unicamente nella fantasia». Casanova seduttore? Non semplifichiamo. Innanzitutto non è caricatura o creazione letteraria come Don Giovanni. Mai forza o violenta le donne. Seduce nel momento in cui è sedotto. Con le donne conversa di cose elevate oltreché di leggerezze. Con un’amante discute di filosofia, con un’altra di politica. Considera il linguaggio indissolubile dal sesso, al punto che s’allontana da un’inglese perché non padrone della sua lingua, oppure va a letto con una russa solo dopo averle insegnato i rudimenti dell’italiano.
Alle donne guarda con meraviglia incondizionata, come guardava alla madre, stupenda, brillante, ma assente. E in lei s’identifica per avvicinare le sue prede, alle quali vuole evitare il tragico, il lutto e qualsiasi dolorosa costrizione. Delle donne è innanzitutto amico e condivide i loro segreti, in primis il loro bisogno di mascherare le pulsioni verso l’uomo. Il suo più autentico desiderio è suscitare il desiderio. Non a caso dirà di essere sempre stato lo «zimbello» delle donne: modo di dire esageratamente riduttivo, ma esatto se si vuol comprendere appieno la sua più grande ambizione, «sapersi straordinariamente desiderato fino alla fine dei suoi giorni».
Certe «leggi», Casanova le apprende fin da giovanissimo. Per esempio: non cercare di appropriarsi di una donna, ma soltanto di amarla abbandonandosi a lei «con la più totale sincerità». Se sedurre è sinonimo di sviare, strappando l’altra al proprio destino, Casanova non è un seduttore di vicoli o di salotti. Lui stesso spiega la differenza: «Il seduttore di professione, che fa del sedurre un progetto, è un uomo abominevole, sostanzialmente nemico dell’oggetto su cui ha posto gli occhi: è un vero criminale che, se possiede le qualità necessarie per sedurre, se ne rende indegno usandole per rendere infelice una donna». È il piacere che Casanova canta nella fredda, umiliante gabbia della Boemia. Il piacere che si trova in questo mondo, consapevole che il suo mondo sia solo questo e non un altro. E scrive da mattino a sera, correggendo fino a dieci-dodici volte le sue pagine, ridando suoni e profumi alla sua vita da palcoscenico, così come aveva «rumorosamente rivendicato la sua esistenza» quando era alto, bello, forte, scongiurandone tutte le fragilità.

E in quel libro-capolavoro le donne, tutte senza eccezione, sono le sue maestre.

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