Casini spariglia e sbraita ma non uscirà dalla Cdl

Francesco Damato

Conosco Pier Ferdinando Casini dagli esordi della sua attività politica. Che è molto più lunga di quanto lascino pensare i 51 anni soltanto ch’egli ha compiuto domenica scorsa, all’indomani del comizio tenuto a Palermo con il dichiarato proposito di marcare le distanze da Silvio Berlusconi, applaudito nelle stesse ore nella piazza romana di San Giovanni da più di un milione di elettori accorsi da ogni parte d’Italia. Lo conosco abbastanza, credo, per dissentire da chi ha visto nella sua sfida, per quanto temeraria possa essere considerata, un tradimento dell’alleanza politica alla quale egli ha partecipato in tutte le elezioni svoltesi dal 1994 in poi, rimanendovi fedele mentre altri ne uscivano. Nel 1996, per esempio, non c’era la Lega di Umberto Bossi, che aveva fatto più di un anno prima il famoso ribaltone. Seguì la capriola di Clemente Mastella, saltato nel 1998 dall’allora Ccd proprio di Casini sulla carrozza allestita dal sempre imprevedibile Francesco Cossiga per portare a Palazzo Chigi nientemeno che Massimo D’Alema.
Casini non è Mastella, del quale infatti ha immediatamente respinto l’offerta di un’alleanza «centrista» per le elezioni europee del 2009 formulatagli subito dopo il discorso di Palermo con una disinvoltura disarmante, visto il rifiuto del Guardasigilli di mettere in discussione la sua partecipazione alla squadra governativa di Romano Prodi.
Una cosa è distinguersi da Berlusconi, o aspirare alla sua successione, magari in modo più esplicito e insofferente di altri che fingono il contrario, o dire che la «Casa delle libertà non ha più senso» nello «schema» attuale, che a suo avviso conferisce troppo peso alla Lega, o alle frattaglie della destra mussoliniana. Una cosa è proporsi così di intercettare voti di moderati in uscita dal centrosinistra meglio di quanto possano fare Forza Italia e Alleanza Nazionale. Ben altra cosa sarebbe cambiare campo, in una buffa rincorsa di Marco Follini, che Casini ha prima allontanato dalla segreteria e poi lasciato uscire dal partito, senza trattenerlo in alcun modo verso il tuffo con i pantaloncini dell’«Italia di mezzo» in una piscina vuota. Non a caso, del resto, Follini ha commentato il Casini di Palermo e dei giorni successivi non compiacendosene, o rivendicando il merito di avere anticipato i tempi, ma rimproverandogli di «restare nel recinto dell’alleanza» e di «non spezzare il cordone» con Berlusconi.
Si farebbe d’altronde torto alla sua intelligenza, o furbizia, attribuendo a Casini un disegno di uscita dal centrodestra che quanto meno dimezzerebbe elettoralmente il partito da lui portato il 9 aprile scorso al 6,8 per cento dei voti. È indicativo un sondaggio commissionato prima ancora delle doppie manifestazioni di sabato a Roma e a Palermo da un giornale insospettabile come Repubblica, che in questi giorni incensa Casini scommettendo sulla sua capacità di danneggiare Berlusconi. Il 48 per cento degli elettori dichiarati dell’Udc, dando peraltro per scontata la permanenza del partito nel centrodestra, era risultato favorevole alla conferma della leadership berlusconiana, per quanto contestata da Casini, il 48 per cento contrario, il 4 per cento indifferente. Sarebbe interessante ripetere oggi quel sondaggio.
L'ex presidente della Camera sa dunque cosa rischierebbe se si lasciasse scappare il piede sull’acceleratore.

Già nella prossima primavera, d’altronde, più di dieci milioni d’italiani torneranno alle urne per un turno elettorale che, per quanto amministrativo, avrà una forte rilevanza politica.

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