Cultura e Spettacoli

Il centenario della nascita

Continuano in tutta la Spagna le celebrazioni del centenario della nascita del poeta Luis Rosales (Granada, 1910 - Madrid, 1992), il punto più alto delle quali è stata la serie di convegni ed esposizioni organizzate dal Centro Andaluz de las Letras dedicati all’opera e alla vita del poeta a lungo dimenticato.
Un’emarginazione particolarmente grave in Italia, dove Rosales, figura di spicco della poesia spagnola, Premio Cervantes 1982, continua a essere pressoché sconosciuto: nessun libro dei suoi versi o saggio è stato finora tradotto, e poche volte viene ricordato nelle antologie del ’900. Ragioni extraletterarie? Crediamo di sì, tra cui quella legata alla tragica morte di García Lorca, compagno di adolescenza di Luis, nella cui casa Federico si rifugia per sfuggire alla violenza dell’esercito nazionalista. Attingiamo alla testimonianza dello stesso Rosales: «Quando Federico mi chiamò al telefono - ha ricordato - poteva essere il 5 agosto \. Mi disse che era preoccupato e mi pregò di andare a casa sua. Vi andai. Allora mi spiegò che in quel giorno erano già venuti per la seconda volta degli individui. Lo avevano maltrattato, avevano messo sottosopra le sue carte... Per cui mi misi a sua disposizione per agire e prendere qualsiasi decisione fosse ritenuta opportuna». L’arresto di Lorca nella casa dei Rosales avvenne, assente Luis, il giorno 16; il 18 o 19 agosto il poeta è fucilato a Víznar, a pochi chilometri di Granada.
L’ondata di sdegno e commozione levatasi per la morte di Federico non poteva non coinvolgere Luis, colpevole di non aver protetto l’amico. In realtà il giovane accorse immediatamente presso la sede del Governo civile per chiederne la liberazione (lo fece anche l’anziano maestro Manuel de Falla), ma fu tutto inutile: allontanato e minacciato di morte, se avesse continuato nella protesta, non poté più rivedere Federico.
Nel processo di emarginazione subito ha inoltre pesato la matrice falangista della potente famiglia Rosales, un marchio difficile da accettare dai professionisti dell’ideologia. In effetti la cultura italiana, e in parte anche quella spagnola, è rimasta non solo succube della falsa accusa per la morte di Lorca (La calumnia, la chiama nel suo libro il poeta Félix Grande), ma si è lasciata condizionare da un malinteso dogma politico, finendo per relegare nel dimenticatoio una figura importante della letteratura contemporanea, a cui da tempo è negato il giusto riconoscimento. Occorre inoltre dire che il gruppo degli autori falangisti - con Rosales, Leopoldo Panero, Luis Felipe Vivanco, Dionisio Ridruejo - hanno vissuto in Spagna a diretto contatto con Pablo Neruda, considerato, al di là delle diverse posizioni ideologiche, un loro maestro. Nell’omaggio reso nel ’35 dal Gruppo poetico del 27 al poeta cileno, accanto ai nomi di Lorca, Guillén, Alberti, Aleixandre ecc., figurano anche quelli di Panero, Vivanco e Rosales, a dimostrazione di un rapporto di contiguità artistica tra la vecchia e la nuova generazione di poeti prima dello scoppio della guerra civile.
Tornando all’opera del nostro autore, alla prima raccolta Abril (’35), che inaugura una nota di elegante e sobria classicità, segue un lungo silenzio, quindi la pubblicazione del libro più importante La casa encendida (’49, presentata ieri all’Istituto Cervantes di via Dante a Milano), in cui fa ingresso un lessico colloquiale che illustra, attraverso la memoria, la dimensione della vita familiare colta nella quotidianità. Neruda, con il libro Residencia en la tierra, e Rosales, con La casa encendida, coincidono nel documentare la crisi dell’uomo moderno; ma se il primo trova una risposta sicura nella tesi marxista, il secondo, di profonda fede cristiana, sa che il dolore è una condizione dell’uomo a cui solo la presenza di Dio e l’amore degli affetti familiari possono dare conforto.

Ma a differenza di Neruda, Rosales adotta un lessico oscillante tra classicismo, purismo e avanguardia, che elimina le barriere fra l’io e il suo oggetto, fra memoria e realtà, grazie anche a una sintassi narrativa che adotta un glossario dettato dalla prassi quotidiana sorretta dalla fede e dalla speranza.

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