Sanremo 2012

Ma che noia le prediche Ora è il tempo del loden

Papaleo vestito come Monti ha fatto più audience dei monologhi politicamente corretti di "Celentano". Il piglio messianico non basta a nascondere la confusione di idee

Ma che noia le prediche  Ora è il tempo del loden

Un disastro televisivo come questo non lo si registrava da un bel po’. Neppure il clamoroso flop di Vitto­rio Sgarbi, meno di un anno fa su Raiuno, può competere con il pateracchio dell’esi­bizi­one di Celentano nella serata d’apertu­ra del 62º Festival di Sanremo. Qualunqui­smo, concetti abborracciati, logica inesi­stente. Il tutto propinato a capitoletti com­posti da sermone + canzone, prendi 2
 paghi 1, schema fisso per spaziare dalla stampa cattolica al referendum sulla legge elettorale, dall’ecologia alla difesa di Santoro. Se l’efficacia di uno show si misura dalla capacità di interpretare lo spirito del tempo, quello del Molleggiato è stato un clamoroso insuccesso.

Non è più il momento di messianismi e teleprediche, Celentano doveva saperlo. Fuori c’è la crisi, la gente sta accucciata in casa - purtroppo a guardare questo Festival - per lenire i rigori dell’inverno e i sacrifici imposti dal governo Monti. Risalire la china è uno sforzo per tutti. Economico, ma anche psicologico. E mentre lo si compie non si ha voglia di prendere randellate in testa o di ascoltare qualche Savonarola catodico di passaggio. Se una minima indicazione si vuol trarre dagli indici di ascolto, potrebbe avere qualche significato il fatto che il picco di telespettatori (16 milioni e mezzo) si è registrato quando sul palco dell’Ariston c’era Rocco Papaleo con tanto di loden e cartelletta in pelle. Per il resto i cinquanta minuti di monologo cantato sono stati uno spettacolo imbarazzante. Per il pubblico, televisivo e dell’Ariston. Per la Rai che in quest’operazione ha rottamato un altro pezzo della sua già risicata credibilità di servizio pubblico. Infine, anche per Celentano: e questo, personalmente, dispiace.

L’apocalisse dell’Ariston non è stata quella che Adriano ha tentato di inscenare con il filmato, déjà vu, del bombardamento, le sirene spiegate e i mitragliatori. Ma l’apocalisse dello show, della comunicazione, del Festival. Ora non serve ripararsi dietro i numeri dell’Auditel per illudersi di avere un grande séguito. Meno che mai può farlo Celentano, lui che contesta aspramente la modernità e le sue tecnologie. Con tutto il can can della vigilia, gli ascolti non potevano che essere stratosferici. Ma l’audience misura la quantità, non la qualità e tanto meno il gradimento. Basta navigare un po’ sui social network per rendersene conto. Per di più, quando ci si erge a messia, a redivivo Joan Lui, occorre che il carisma sia accompagnato da lucidità e capacità di cogliere lo spirito del tempo. Ma Celentano è caduto proprio su questo. Tanto controcorrente e profetico si è dimostrato in passato - quando cantava l’amore di coppia ai tempi del divorzio, o la difesa della vita in epoca di aborto - altrettanto prevedibile e appiattito sui luoghi comuni del politicamente corretto si è dimostrato l’altra sera.

Show ancor più anacronistico perché accompagnato da un’ambizione esorbitante. Il risultato è una collezione di proteste e di nuovi nemici. Attenzione, però: non confondiamo il casino con le medaglie dell’anticonformismo che in altre occasioni Celentano si è appuntato al petto. Stavolta sono incazzati i giornali cattolici, e anche qualcuno laico e piuttosto importante di cui ha insultato l’autorevole critico televisivo. Sono risentiti i vescovi. Contrariata la gran parte dei telespettatori. Piuttosto nervosi i vertici della Rai. Tutta gente che in passato lo ha difeso.

Per capire che le poche idee erano confuse basta ricordare gli attacchi ad Avvenire e Famiglia cristiana colpevoli di non parlare di Dio e del Paradiso e di privilegiare questioni politiche e sociali, contrapposti agli elogi a don Gallo. Se c’è un prete che parla solo di problemi sociali e politica al punto da sponsorizzare i candidati sindaci del partito di Vendola, questi è proprio don Gallo.
Niente da salvare, allora nell’esibizione di Celentano? No, qualcosa c’è, oltre alla buona fede. La voglia di portare al Festival qualcosa di eterogeneo e dirompente come Gesù Cristo e il Paradiso. Ma per questo, probabilmente, avrebbe lasciato un segno più profondo cantare alla sua maniera, come ha fatto, Il Forestiero.

Magari nel buio illuminato da un solo riflettore.

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