Chi foraggia le piazze calde della protesta

Vittorio Mathieu

Vi sono, nelle società occidentali, piccoli disordini che provocano ingenti danni e gravi ingiustizie: ad esempio, «manifestazioni» dei centri detti sociali, violenze di no-global, eccetera. Chi ha il compito di far rispettare l’ordine pubblico ha il dovere di reprimere questi disordini, anche se solo qualche volta danno luogo a reati gravi. Se non si contrastano, infatti, le loro conseguenze s’ingigantiscono. Ora, la prima domanda da porsi, se li si vuole contrastare, è: chi li paga?
Un corteo, di per sé, non costa molto: basta uno striscione, e molti si associano senza essere pagati, per mimetismo e scarsezza di giudizio. Ma spostamenti di diecine, a volte di migliaia di persone per centinaia o migliaia di chilometri, costano parecchio: chi li paga? E spostamenti e cortei non sono che l’inizio.
Prendiamo la Val di Susa. I residenti hanno un loro interesse a contrastare la Tav, perché per tacitarli si concederà loro qualche vantaggio: ma chi paga gli attivisti che vengono dal Meridione? Se, poi, si tratta del «popolo di Seattle», che passa da un continente all’altro per contestare il G8, le spese si fanno ingenti.
Anche un semplice centro sociale costa e ha un bilancio in passivo anche se fruisce di qualche sostegno concessogli dalle autorità locali per «tenerselo buono». I suoi componenti, giovani e non più giovani, senza essere rentiers, si astengono dal lavorare: è impossibile che le spese non siano ripianate da qualcuno. Individuare questo qualcuno è la prima condizione per tagliare il disturbo alla radice. Un disturbo che, a volte, ha conseguenze anche gravi.
In certi casi è facile scoprire cui prodest. Le lobbies dei produttori di petrolio, ad esempio, hanno enormi introiti non controllabili, ed è comprensibile che ne spendiamo una parte per combattere il nucleare. Può poi darsi che badino da soli a non esagerare, perché se ci strozzano del tutto avranno strozzato la gallina dalle uova d’oro (senza una civiltà industriale il petrolio non vale nulla). Ma, anche se non ci strozzano del tutto, ci tengono le mani sul collo.
Di dimensioni di poco inferiori le lobbies degli stupefacenti, che inquinano ancor più del petrolio. Le tossicodipendenze si aggravano da sé, e anche persone che non si drogano affatto si associano a volte ai movimenti «umanitari» nel deprecare come illiberale la «persecuzione del drogato». Ma dietro ci sono ben altre forze: anche militari.
Individuata la fonte del finanziamento in modo generico, occorrerà individuarla in modo specifico, fino a nomi, cognomi e numeri di conto corrente. Il caso più impressionante è quello del terrorismo: costa un’enormità. Musulmani pronti a sacrificarsi per raggiungere il paradiso se ne trovano, ma occorre addestrarli, armarli, spostarli, occultarli, e questo costa. La fonte generica del finanziamento è, di nuovo, il petrolio, ma occorre individuare e seguire i canali che ne sgorgano. Per questo l’intelligence è molto più utile che le bombe. Su grande scala, occorrono organizzazioni analoghe alla Cia: su piccola scala può servire anche la Guardia di Finanza. E qualche mecenate potrebbe perfino spendere di suo per rivolgersi a istituti di investigazione privata, come quello fondato dal celebre Tom Ponzi.

La sola politica che non si deve fare è illudersi che sia possibile il «dialogo».

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