Cultura e Spettacoli

Chiusa la parentesi Co' Sang, Ntò riparte con Il coraggio impossibile

Il rapper napoletano ricomincia da zero con un nuovo progetto. Rime facili e strumentali che mischiano modernità e tradizione, per un album che si ascolta senza fatica ma nasconde concetti importanti

Chiusa la parentesi Co' Sang, Ntò riparte con Il coraggio impossibile

In arte è Ntò. Antonio Riccardi per l'anagrafe. Napoletano, ha militato per anni nel duo Co' Sang, prima di sciogliere il sodalizio con Luche, compagno di sempre, tra una serie di frecciatine reciproche e qualche non detto. Archiviata un'esperienza importante, si ripresenta sulle scene rap con un disco nuovo, da solista e un suono che ha pochissimo a che fare con quanto ci ha proposto finora. Il suo album, Il coraggio impossibile, è di fatto un nuovo debutto, la seconda presentazione di un artista maturato e sicuramente diverso.

Prima dei contenuti, parliamo del pacchetto. Il tuo album si presenta con una copertina molto particolare

Una libera interpretazione del Tormento di S.Antonio di Michelangelo Buonarroti. Antonio sono io, è il mio nome di battesimo. In più il dipinto rappresenta il santo a mezz'aria, circondato dai demoni. Esprime bene un momento critico che ho vissuto e le preoccupazioni che ho affrontato. Dalle aspettative dei fan alla morte di mio padre, al vivere in una città, Napoli, assediata dalle forze dell'ordine, dove finisci fermato per strada tre volte al giorno. Intendiamoci, la mia fedina è immacolata, ma non fa comunque piacere.

I tuoi "tormenti" si riflettono poi nelle scelte musicali

Con Il coraggio impossibile ho voluto fare un disco diverso dai precedenti, in cui ricorrono tematiche che ho già affrontato, come il rapporto con la mia Napoli, ma in sottofondo. In primo piano ci sono altre cose, i rapporti interpersonali per esempio.

Fa parte di un cambiamento che ho affrontato con la crescita. A trent'anni non me la sentivo di raccontare ancora le cose di cui parlavo a venticinque. Ho preferito rispecchiare questa maturazione personale. Con la dissoluzione dei Co' Sang, il duo in cui militavo in precedenza, ho cambiato anche team di produzione. Ho lavorato con nomi nuovi della mia città, Nazo, Nta, Oscar Prize. Giovani talenti con tanta voglia di fare, prima ancora che di emergere. Ho scelto di accostare passaggi più "musicali", sviluppati in senso tradizionale, grazie all'aiuto di artisti come Enzo Avitabile, ed episodi elettronici.

Nonostante una carriera piuttosto lunga, possiamo considerare Il coraggio impossibile un debutto vero e proprio. Anche nella scelta di abbandonare l'uso del napoletano che ti contraddistingueva, come tanti della tua città...

Una scelta che poteva portare a incomprensioni spiacevoli. Ma sono contento del risultato. Ci sono arrivato per tappe intermedie, iniziando a sperimentare su altri progetti, come il Thori e rocce di Shablo e Don Joe, il produttore dei Club Dogo. Sono felice di quello che mi sono saputo conquistare. Tra l'altro un disco completamente in napoletano di certo non mi avrebbe permesso di ottenere i risultati di vendita che ho visto. Il disco si è spinto fino al quarto posto nella classifica degli album su iTunes. E anche lo zoccolo duro dei miei fan mi ha dato fiducia totale, ha capito la mia voglia di ricercare in una direzione diversa.

Senza rifare un disco identico al precedente

Qui mi permetto di citare Carmelo Bene. Tutto sta nel decidere se vuoi proporre il significante o il significato. Rimettere in scena quello che erano i Co' Sang avrebbe voluto dire ancorarsi a uno stereotipo. Molto meglio mirare a qualcosa di nuovo.

Possiamo parlare di un'evoluzione che non scorda il passato?

È il motivo per cui ho scelto di non abbandonare il napoletano del tutto. La mia ricerca va avanti anche in quel senso. A Napoli è un aspetto del quotidiano, c'è un attaccamento popolare al dialetto. In fondo nel mondo siamo sei, sette milioni. Ma anche dieci, un sesto degli italiani all'estero (ride). Giusto oggi ho ricevuto un paio di messaggi da Marsiglia e Toronto, da fan che mi dicevano di avere comprato il mio disco, magia di iTunes.

Mi pare di capire che sei del partito del sì alla "musica digitale"

Assolutamente, sempre. Anche perché oggi abbiamo strumenti che consentono a un artista di proteggere il frutto del suo lavoro e di ripagare le spese che si affrontano per realizzare un album. I ragazzi poi sono sempre più avvezzi al digitale.

Forse quello che manca ancora è la consapevolezza del lavoro e dell'impegno economico che c'è dietro a un disco

Il discorso è proprio questo. Il mio album, per esempio, negli store digitali costa 9,99 euro. Un prezzo politico, per i ragazzi. Non c'è supporto fisico, ma c'è comunque un booklet, una grafica curata. In un periodo non felicissimo dal punto di vista economico, mi piace pensare di fare avere ai miei fan un oggetto comunque piacevole e pensato, diverso da una produzione in regalo sul web.

È sbagliato pensare al tuo disco come un progetto con due livelli di lettura? A un primo ascolto sembra molto semplice, scarno, ma poi ci si rende conto che l'effetto è voluto

Ho ragionato per levare, togliendo un po' della forma che nasconde i contenuti. I pezzi suonano facili, ma poi acoltando bene si colgono critiche e messaggi. In Tasche piene ad esempio me la prendo con un'ipocrisia tutta italiana nel modo di gestire fama e soldi. Se non hai problemi economici, se hai una bella macchina perché hai lavorato per ottenerla, che bisogno c'è di nascondersi? In generale ho voluto creare brani che si potessero ascoltare anche come sottofondo in auto, ma sviluppando dei concetti.

Hai dato molto spazio anche al canto

Anni fa ho avuto uno stiramento alle corde vocali, dovuto al fatto che usavo male la voce, senza sfruttare il diaframma. Ho fatto riabilitazione con una logopedista che era anche cantante d'opera. Mi ha insegnato le basi del solfeggio, le scale. Da qui ho lavorato per dare un centro tonale al mio rap, sdoganandolo dal fiume di parole che in effetti è, o rischia di diventare. Mi ha aiutato molto lavorare in studio con musicisti che mi hanno guidato, facendomi anche da vocal coach. Ho voluto anche adeguarmi alle ultime tendenze, che mischiano molto cantato e rap.

Senza voler polemizzare, il tuo vecchio gruppo si è sciolto non senza dissapori. Pensi che questo abbia influito sulla percezione che la gente sta avendo del tuo lavoro?

Ha influito più che altro in quello che chiamo "il giro delle sette chiese", le grandi major, che si sono mostrate scettiche di fronte alla proposta del mio lavoro. Questo non ha fatto che aumentare il mio orgoglio per il risultato che ho ottenuto da indipendente. Poi c'era l'idea che io e il mio ex socio, Luche, potessimo funzionare solo come duo. I fan del rap in Italia sono sempre pronti a puntarti un fucile addosso, in modo quasi feroce. Ad ogni modo credo che un rapper, anche se per anni milita in un collettivo, non diventi mai solo parte di un tutto. In un genere molto ricco di collaborazioni tra artisti, basta la strofa sul disco di un altro per esporti per come sei, prima ancora di arrivare a un esordio solista.

Il coraggio impossibile è un disco molto compatto: dodici tracce, ospiti selezionatissimi

Mi è sembrato necessario. Come ho già detto, si tratta di un vero e proprio esordio. Ho voluto spostare l'attenzione su di me. I pochi featuring sono lo specchio delle mie frequentazioni, da Clementino, altro rapper napoletano che ho visto spessissimo nell'ultimo anno, fino ai Casino Royale, vecchie conoscenze e a Rocco Hunt, il nuovo portabandiera della scena di Salerno. Una città molto viva per quanto riguarda l'hip-hop, a cui mancava solo un nome di richiamo.

Oggi è uscito il disco di Baby K, rapper romana con cui hai anche collaborato. Come vedi questa nuova ondata di donne?

Come una novità importante. Le ragazze italiane devono ancora superare o scuorn, la vergogna. Vivono l'hip-hop, sentono questa cultura come propria, ma faticano a mettersi in gioco, forse anche per paura di non essere capite, per un'italianità che fa ancora pensare al rap come qualcosa di troppo diverso dalla norma. Pian piano l'idea di un rapper femmina diventerà la normalità delle cose.

L'atteggiamento di chi ascolta è un problema?

A volte, ma nel caso di Claudia (Baby K) a sostenerla ci sono anche molti ragazzi. Le cose stanno cambiando in fretta.

Ora come ora l'hip-hop è al centro del ciclone. Pensi sia solo l'ennesima fase di una storia ciclica?

Non credo, no. Il rap sta penetrando tra le persone comuni. Non è più una cosa per pochi eletti con i pantaloni larghi, che poi non sono più neppure di moda. Trovo molto bello quello che ha detto Morgan in un'intervista: i ragazzi sono stufi, vogliono musica che dia un messaggio. Il rock non assolve più a questa funzione e il rap, dai Two Fingerz a Ensi, da Kiave a Dargen, abbraccia temi come il rapporto coi soldi, con le donne, con le droghe, con la società. Lo fa senza fronzoli e senza moralismo.

Due consigli in chiusura: un'artista da riscoprire e uno che merita di essere ascoltato

Il mio consiglio è quello di studiarsi i vecchi dischi italiani, anche degli anni Novanta, per capire da dove arriviamo. Per quanto riguarda invece le cose nuove, io amo molto la scena rap del sud degli Stati Uniti, dove si riescono a trovare anche cose molto sperimentali. Penso al filone inaugurato da Tyler, The Creator ma anche a un Kendrick Lamar. Viene da Compton, culla del suono West coast, ma fa musica che non si può ricondurre a quella tradizione.

È l'esatta dimostrazione di come una realtà possa evolversi.

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