Come glielo spieghi, ai giornalisti che ti battezzano sulle loro colonne come "Una bella ragazza in bicicletta", che non sei soltanto estetica applicata ai pedali? Impresa ardua pure oggi, figurarsi cent'anni fa. Lei però prova a fare spallucce. Del resto sembra avere un destino inciso nel cognome: Strada. Di nome, invece, fa Alfonsina. Segni particolari: prima - e unica - donna iscritta a partecipare al Giro d'Italia. Per capire come c'è arrivata, serve rimettere insieme i pezzi.
Alfonsina nasce in provincia di Modena, a Castelfranco Emilia, nel 1891. Vive in un sobborgo alquanto malandato, lontano dai sogni smaltati dei grandi centri urbani. Però un giorno il padre rientra a casa con una bici di seconda mano, procurata con sforzi ragguardevoli. Lei ha soltanto dieci anni, ma è già pronta per la prima infatuazione: si aggira intorno a quella struttura metallica, passa l'indice sulle ruote, accarezza il manubrio. Mai vista una bici in famiglia, prima di allora. Quello è il momento che fa svoltare tutto.
Perché poi Alfonsina capisce presto che i pregiudizi - all'epoca giganteschi - sono fatti per essere divelti. Se ne va allora appena può nella grande Milano, per respirare un'aria differente. Per provare a disegnare un futuro in cui si vede in sella, a gareggiare sulle due ruote. Capisce in fretta, Strada, che l'ambiente più fertile per provarci è la vicina Torino: lì inizia a correre da giovane, cogliendo il primo successo a diciassette anni, sulla pista del parco del Valentino.
Nel 1911, a Moncalieri, va già talmente forte da riuscire a riscrivere il record di velocità per il ciclismo femminile: oltre 37 km orari di fluidi e potenti affondi sui pedali: quel giorno la principessa Maria Clotilde di Savoia la premia consegnandole una medaglia e 15 lire. La grande occasione si presenta però qualche anno dopo, nel 1924. All'epoca gli organizzatori del Giro d'Italia, con il dirigente Emilio Colombo in testa, annaspano in una laguna di difficoltà. Molti tra i corridori professionisti più accreditati si rifiutano di correre per una protesta che nasce da ragioni economiche. Così è necessario mettere dentro iscritti. Colombo ci vede una straordinaria opportunità di marketing: Alfonsina, del resto, catalizza presto l'attenzione dei giornali, anche se all'inizio scrivono Alfonso o Alfonsin, per scansare il problema del sesso. Problema soltanto dei maschi.
D'altronde lei non ha paura. Ha già sconfitto più volte gli uomini correndo nelle gare popolari sui selciati polverosi tra Mezzolara, Budrio e San Lazzaro: perché non potrebbe farlo ancora? Quando è chiaro a tutti che si tratta di una donna - la prima a correre al Giro - i media si affrettano a correggere il tiro. La chiamano "Il diavolo in gonnella" o "La regina della pedivella". Al Giro si presentano in 90. Lei porta i capelli corti, a caschetto, ma è impossibile non accorgersi che si tratti di una ragazza.
Sarà dura tenere il passo.
Arriverà ultima, d'accordo, ma tra i trenta che riusciranno a giungere fino al traguardo finale: quindi pur sempre davanti a sessanta maschi. Quel suo tentativo di rottura degli schemi più incrostati resterà isolato nell'ecosistema del ciclismo. Ma l'esempio, si sa, puoi provare a darlo soltanto a forza di pedalare.
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