Tra Cina e Giappone cosa c'è di nuovo sul fronte orientale

Lorenzo Corti

Mentre gli Usa continuano a confermare una buona crescita economica, l'Europa sta cercando di alimentare la lieve ripresa che si è cominciata a intravedere nel secondo semestre dello scorso anno: infatti, in base ai dati Eurostat, nel primo trimestre 2016 la crescita del pil Ue si è attestata a +0,5%. Ma l'attenzione di molti osservatori di mercato resta rivolta all'Asia, e più in particolare al Giappone.

Il timore è che l'economia mondiale possa essere contagiata dal cosiddetto malessere giapponese: quel fenomeno che dal 1989 attanaglia il Giappone con una crescita economica anemica, tassi di inflazione bassi o negativi, e rendimenti obbligazionari tendenti allo zero. Adesso sono la Cina e l'Europa a soffrire maggiormente di questo «malessere giapponese».

Gli Usa sembrano essere abbastanza diversi dal Giappone e mostrano, almeno per ora, che il rischio deflazione possa non riguardarli. Tuttavia, sebbene la deflazione faccia paura, esistono alcune importanti divergenze rispetto a quanto sperimentato da Tokio dagli anni '90 in poi. In questa fase, dopo il suo percorso iniziale di crisi, il Sol Levante era finito già area deflattiva: gli Stati Uniti e l'Eurozona, invece, sembrano aver trovato una qualche stabilizzazione su livelli di inflazione bassi ma positivi.

«La Cina evidenzia al contrario un andamento forse che desta maggiore preoccupante, con una deflazione in rapido aumento e, soprattutto, senza al momento nessun segnale di stabilizzazione, constata Allan Conway, head of Emerging market equities di Schroders. Per l'esperto, mentre non sono necessari particolari presidi per evitare la minaccia deflattiva negli Usa, in Europa ci sono almeno due questioni sul banco: le riforme nel settore bancario europeo e la possibilità che, nonostante il quadro politico-istituzionale dell'area euro, si possa accettare un'inversione di marcia e permettere una politica fiscale per l'espansione economica. In Cina, sempre secondo Conway, bisognerà intervenire in modo mirato dal momento che l'eccesso di capacità produttiva, che caratterizza alcuni settori industriali del Paese, sta causando una pressione deflazionistica. Non solo, è assai probabile che Pechino debba attuare una politica monetaria più accomodante. Mosse che, per l'esperto di Schorders, potrebbero provocare un indebolimento valutario che però non piace affatto al governo cinese. Resta il fatto che i mercati finanziari dopo un inizio d'anno ad alta tensione, sembrano ora confidare nel controllo della situazione da parte delle autorità cinesi, capaci di guidare il Paese verso il target di crescita annunciato per quest'anno (+6,5%). Non mancano tuttavia coloro che ritengono tale previsione troppo alta. Le stime di Pimco relative al tasso di crescita ufficiale della Cina, per esempio, si attestano in una forchetta compresa tra il 5,5% e il 6,5%, e quindi al di sotto del target del 6,5% del governo di Pechino. Secondo gli esperti di Pimco, sono quattro principali ostacoli sulla strada della ripresa cinese: la leva finanziaria, le sofferenze bancarie, il mercato immobiliare e il mercato azionario.

A proposito di Borsa, Jian Shi Cortesi, gestore del fondo Julius Baer Multistock China Evolution di Gam, in Cina si concentra sui settori dei consumi discrezionali, della salute e della tecnologia, non dimenticando come i primi due settori erano stati tra i peggiori da inizio 2016. Si tratta di settori che, dal punto di vista del gestore, continueranno a offrire buone opportunità di investimento anche grazie alla conferma del trend di successo dell'e-commerce e del mobile gaming, alla ripresa del mercato dei liquori cinesi, alla domanda crescente di auto elettriche e all'andamento di crescita strutturale nei settori assicurazioni, istruzione e viaggi.

Alla luce di questi convincimenti, Cortesi ha sfruttato la correzione del primo trimestre per aggiungere in portafoglio alcuni titoli che sembravano assai sottovalutati.

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