Il film del weekend

"Laggiù qualcuno mi ama", Martone rende il giusto omaggio a Troisi

Un documentario divertente e al contempo straziante, in cui riscoprire il Troisi alieno del cinema italiano, spettatore severo di se stesso e icona immortale per il suo pubblico

"Laggiù qualcuno mi ama", Martone rende il giusto omaggio a Troisi

Laggiù qualcuno mi ama”, il toccante documentario che Mario Martone ha dedicato a Massimo Troisi, è stato presentato al Festival di Berlino ed è uscito questa settimana nelle sale, proprio nel settantesimo dalla nascita dell’artista.

La volontà di ricordare un pezzo di storia del nostro cinema parlando di un autore tanto amato quanto atipico, perché al contempo comico e riflessivo, si esprime qui non col classico assemblaggio di aneddoti, interviste ad amici e simili, bensì con qualcosa che ha tutte le caratteristiche di un saggio critico.

Martone racconta il lavoro di Troisi, l’eredità culturale da cui muove e quella che lascia e lo fa attingendo non solo a quanto prodotto nella sua carriera, ma anche al suo vissuto personale colto attraverso appunti autografi.

La parte più commovente di “Laggiù qualcuno mi ama” riguarda infatti l’archivio sentimentale in possesso di Anna Pavignano, sceneggiatrice e co-autrice dei film di Troisi, nonché sua compagna di vita per un lungo periodo. Si tratta di "foglietti" e poesie relative anche agli anni precedenti al loro incontro, tra i quali spicca l’agenda in cui Massimo tenne traccia del suo intervento al cuore, negli Stati Uniti.

Voci fuoricampo (di volta in volta diverse ma sempre note, da Favino a Mastandrea) leggono il contenuto di quel che è una specie di "scrigno segreto", ma si prova anche l’emozione di sentire parole inedite di Troisi incise da lui su una musicassetta in cui s’improvvisava una "seduta psicanalitica" tra amici.

"Laggiù qualcuno mi ama" rende giustizia a un talento che, pur presentando assonanze con giganti come i fratelli De Filippo, era anche capace di evocare movimenti artistici ben lontani dalla sua Napoli. In un illuminante parallelismo visivo, Martone pone l’accento ad esempio sulle affinità tematiche (la centralità dell’amore) ed estetiche (i dialoghi allo specchio, le corse) col cinema di François Truffaut.

In lode di un artista anomalo e prezioso, sfilano i contributi di Francesco Piccolo, Paolo Sorrentino, Ficarra e Picone, Goffredo Fofi, Federico Chiacchiari e Demetrio Salvi. Ognuno di loro, in modo diverso, sottolinea come l’arte di questo guitto sensibile e profondo abbia influenzato vita e mestiere di tanti, colleghi e non.

"Laggiù qualcuno mi ama" analizza i gesti ricorrenti, i balbettii, le pause che in Troisi hanno sempre rivelato una dolce inadeguatezza che permise l’identificazione in lui di tanta parte di pubblico. Si inquadra la sua fragilità sentimentale mai nascosta, anzi esibita quasi a stendardo di purezza, ma anche quella timidezza che non gli precluse incontri artistici che fecero epoca, da Pino Daniele a Roberto Benigni.

Martone indaga anche i processi di scrittura e di messa in scena che portarono il cineasta ad immortalare sia lo spirito del suo tempo sia il modo tutto suo che aveva di stare al mondo.

Si passano in rassegna luoghi, tappe e momenti significativi dell’esistenza di questo immortale, dalla casa d’infanzia al primo teatro garage in cui si esibiva, dal suo far parte de "I saraceni" all'esibirsi come membro de "La smorfia", dall’esser accusato di vilipendio alla religione per un celebre sketch televisivo al rinunciare a partecipare come ospite censurato a Sanremo. Gli esordi televisivi e quelli cinematografici sono storicizzati con riferimenti ai movimenti di piazza e al terremoto del 1980.

L’artista e l’uomo cangiano l’uno nell’altro, restando intenti a sovvertire i luoghi comuni, inseguire il miraggio di una verità esistenziale e pensare alle donne come indipendenti e lottatrici. Oltre a idee come quella di una Napoli che deve cambiare e che l’amore sia smarrimento, emerge il pensiero della morte, esorcizzato da una consapevolezza: "Eppure un sorriso io l’ho regalato".

Il finale è giustamente affidato alla significativa immagine della chiusura di un cerchio, a matita, su un foglio.

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