Cinema

Michael Douglas: oltre alla Palma d'Oro onoraria, una splendida masterclass

Dopo la Palma d'Oro d'onore per i 50 anni di carriera, Michael Douglas concede ricordi, riflessioni e sorrisi durante un rendez-vous rilassato e memorabile

Michael Douglas: oltre alla Palma d'Oro onoraria, una splendida masterclass

Ascolta ora: "Michael Douglas: oltre alla Palma d'Oro onoraria, una splendida masterclass "

Michael Douglas: oltre alla Palma d'Oro onoraria, una splendida masterclass

00:00 / 00:00
100 %

Al Festival di Cannes Michael Douglas è come te lo aspetti: un campione di fascino, classe e humor leggermente luciferino. Il tutto condito da inarrivabile naturalezza. Al rendez-vous in calendario dopo aver ritirato la Palma d’Oro durante la serata d’apertura arriva un uomo intrigante e insieme familiare, del resto ha incarnato personaggi iconici, entrati nell’immaginario di tutti.

«A Cannes sono legato per più ragioni, non ultima che mio padre Kirk ha incontrato qui Anne, la sua seconda moglie», esordisce. Poi ammette di avere più anni del Festival e inizia a ricordare alcuni dei film che qui ha presentato nella sua lunga carriera.

Di “Dietro i candelabri”, uno dei film che dichiara di preferire e di sicuro una delle sue migliori interpretazioni, svela come all’inizio fosse l’opportunità giusta al momento sbagliato. Lo script era eccellente ma nei panni del pianista Liberace non poté calarsi subito: all’epoca era ridotto ad uno scheletro in quanto reduce dalle terapie per curare un cancro alla gola. Steven Soderbergh rimandò l’inizio delle riprese a quando si fosse ripreso.

Sempre sulla Croisette portò “Un giorno di ordinaria follia”: «Al tempo di mio padre c’erano gli eroi da una parte e i villains dall’altra, ma chi come me appartiene alla generazione della guerra in Vietnam ha cominciato a porsi la domanda su quale sia la giusta decisione da prendere e a chiedersi come ragionerebbe un uomo normale che affronta una situazione terribile».

Ripercorre come nel 1992 “Basic Instinct” fu presentato proprio qui e scioccò gli spettatori con qualcosa che allora pareva estremamente esplicito mentre oggi forse passerebbe inosservato. Una premiere a cui seguì una cena in cui tutti erano in imbarazzo dopo essersi visti su schermi giganti in determinate pose.

Delle tante scene sessuali di cui la sua filmografia è costellata, Douglas sottolinea come fosse diverso girarle senza l’intimate coach, figura irrinunciabile sul set nei giorni nostri. Rivela che i due attori si accordavano prima, anticipando l’uno all’altra dove avrebbero messo una mano, quando baciarsi e così via. Come fosse una vera coreografia. Poi conclude sibillino: «Dopo “Attrazione fatale” immaginavo le mogli che portavano i mariti al cinema per poi dire: guarda cosa può succedere in caso di tradimento».

Dell’aver lavorato spesso con amici come Danny De Vito e Kathleen Turner spiega ironico il vantaggio principale: «Girare film prende un sacco di tempo, sapete quanto se ne risparmia senza i convenevoli delle presentazioni sul set tra nuovi colleghi?». Poi ride al ricordo di come, durante “La guerra dei Roses” del 1989, De Vito diede lo stop per la pausa pranzo lasciando Kathleen Turner appesa al lampadario.

Di Oliver Stone declama «l’incredibile talento» e ammette che sul set di “Wall Street”, quando voleva che tirasse fuori più cattiveria nei panni del broker senza scrupoli e col sigaro in bocca con cui poi vinse l’Oscar, lo provocava per farlo arrabbiare: «Ti sei fatto di droga». Del lavoro di attore dice: «In una carriera quanti ruoli di primo piano o che funzionano possono capitarti? E un attore vuole lavorare, ecco perché fa anche personaggi che non lo convincono appieno». Tra gli aneddoti che preferisce c’è quello in cui, invitato alla Casa Bianca dopo aver girato il film “Il Presidente – Una storia d’amore” con Annette Bening, trovò ad accoglierlo Clinton in persona che gli strinse la mano esclamando: «Un onore conoscerla Signor Presidente!”.

Il divo non fa mistero che la famiglia resti una componente fondamentale della sua vita. Gli occhi ancora si inumidiscono quando parla del padre, mancato poco più di tre anni fa da ultracentenario, e si intuisce che il confronto con chi fu l’indimenticato Spartacus cinematografico sia stato una costante per lui. In particolare Douglas ammette di essersi sentito per la prima volta fuori dal cono d’ombra della figura paterna quando produsse, a soli 31 anni, “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. Fino ad allora Hollywood non lo aveva mai preso sul serio ma proprio per questo esclama con ghigno sarcastico: «Come si dice? La vendetta è un piatto che si serve freddo».

Michael Douglas ribadisce appena può che il padre «è stato un uomo straordinario in molti modi possibili» e annuncia che anche sua figlia vuole fare l'attrice. Sugli affetti chiosa, amabile e divertente: «La famiglia è un supporto ma anche qualcosa che ti fa diventare matto. Ad ogni modo io sono molto felice quando sono a casa».

Certe persone invecchiano solo nello specchio.

Commenti