Cinema

Pane amore e fantasia, il significato del titolo del film con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida

Pane amore e fantasia è il film con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida, un caposaldo del cinema italiano. Ma perché si intitola così?

Pane amore e fantasia, il significato del titolo del film con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida

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Pane amore e fantasia, il significato del titolo del film con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida

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Diretto da Luigi Comencini nel 1953 e primo capitolo di quella che poi è diventata nota come la trilogia Pane, amore e..., Pane, amore e fantasia è il lungometraggio che va in onda questa sera alle 19.30 su Rai Movie. Vincitore dell'Orso d'Argento al Festival di Berlino e di numerosi altri premi, anche ai due interpreti principali, Pane, amore e fantasia rappresenta un caposaldo del cinema italiano.

Pane, amore e fantasia, la trama

Antonio Carotenuto (Vittorio De Sica) è un maresciallo dei carabinieri che è stato appena trasferito in un piccolo paese che sembra quasi chiuderglisi addosso. Eppure è proprio qui che l'uomo fa la conoscenza di Maria (Gina Lollobrigida), meglio nota con l'epiteto di Bersagliera, una ragazza bellissima e dai valori irreprensibili, che tuttavia è una delle creature più povere del circondario. Maria è innamorata di Pietro Stelluti (Roberto Risso), un carabiniere all'inizio della sua carriera, ma è in "lotta" con la nipote del parroco, che prova sentimenti analoghi per Pietro. Proprio lo scontro tra le due ragazze porta il Maresciallo a interessarsi alla Bersagliera, mentre l'uomo si avvicina anche Anna (Marisa Merlini), l'ostetrica del paese. Le vite di tutti questi personaggi sono destinate a intrecciarsi.

Perché il film si intitola così?

Quando Pane, amore e fantasia è arrivato nelle sale, il cinema italiano stava attraversando un periodo particolare e le produzioni erano orientate verso una delle correnti artistiche più famose della nostra cinematografia: il Neorealismo. Come era avvenuto prima in letteratura, anche il mondo della settima arte cercò di portare sullo schermo un nuovo modo di raccontare storie per immagini. Un modo che fosse legato agli anni della ricostruzione, che non ignorasse né la povertà né lo spirito di adattamento degli italiani che venivano dalla Seconda Guerra Mondiale, con l'umanità distrutta, così come la speranza di un futuro migliore. Fatto iniziare comunemente con il film Ossessione di Luchino Visconti, il Neorealismo conobbe la sua fase più dorata fino al 1956: quelli erano gli anni della rivoluzione stilistica su grande schermo, quando alla messinscena costruita e più apertamente "tecnica" veniva sostituita una recitazione immediata, che spesso non era affidata a soli attori professionisti, ma anche a gente del "popolo", persone comuni che sembravano le più adatte a raccontare il realismo - ed è questa la parola chiave - di quegli anni, proprio perché il Neorealismo inseguiva la verità, la realtà dei fatti senza abbellimenti o facili costruzioni artificiose. Protagonisti dei film neorealisti erano i disperati, le persone povere che dovevano trovare un modo per sopravvivere in quella dimensione drammatica del "qui e ora", che affronta una tragedia sociale ma in qualche modo cerca di andare avanti, di lottare per avere anche la speranza del domani. Sono i disperati che si trovano anche nelle pagine di John Steinbeck, quelli così poveri da non avere niente se non il proprio corpo e il proprio respiro. Pane, amore e fantasia, arrivato al cinema nel 1953, si pone quasi come spartiacque: abbiamo infatti la rappresentazione classista di una classe operaia estremamente povera - la famiglia della Bersagliera, ad esempio, non ha altro che un asinello malconcio da cui dipendere - e la rappresentazione di un'Italia in divenire, che non è ancora guarita dalle ferite della guerra e che si gode il "qui e ora". Ma ai temi sociali e ai tempi drammatici del Neorealismo, Luigi Comenici controbilancia un tono scanzonato, situazioni divertenti e toni più leggeri, insinuandosi così in quello che sarà l'altro movimento tipico del cinema del dopoguerra, la commedia all'italiana. E il regista ha voluto in qualche modo indicare questa doppia natura del suo lungometraggio già a partire dal titolo. Pane, amore e fantasia sono tre termini che racchiudono bene l'anima del film. L'amore, naturalmente, indica il tema dell'opera, visto che la storia ruota intorno a personaggi più o meno innamorati che cercano di avere il loro lieto fine e il coronamento dei loro sogni romantici. Il pane indica sia la "fame" del dopoguerra e, con esso, la povertà che popola le strade e che è ben rappresentata dal personaggio di Gina Lollobrigida. Ma il pane indica anche la "quotidianità" (non a caso, si parla spesso di "pane quotidiano"), dimensione temporale che trasporta di nuovo a quel "qui e ora" tipico del Neorealismo. Ma la svolta arriva con l'ultimo termine del titolo, la fantasia. Esso sembra suggerire la voglia di lasciarsi alle spalle i temi più prettamente drammatici del Neorealismo e alleggerire l'ansia degli spettatori dell'epoca, regolando loro una via di fuga dalla realtà che passasse proprio attraverso l'atto creativo, la fantasia.

Così come gli stessi personaggi in scena, che spesso sono così impegnati a vivere ad occhi aperti le loro fantasie da non avere tempo di registrare gli orrori intorno.

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