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Quando il cinema italiano era sessista, volgare e bello

Al Torino Film Festival, un docufilm di Beatrice e Mascheroni sulle pellicole oggi reputate scorrette. Cosa ne facciamo, censuriamo?

Quando il cinema italiano era sessista, volgare e bello

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Claudio Siniscalchi Anno 1982. Esce sugli schermi Borotalco di Carlo Verdone. Lucio Dalla, autore delle musiche, è sul piede di guerra. Sul manifesto il produttore Cecchi Gori ha stampato il nome del cantante a caratteri cubitali. Più grandi del regista. Dalla non ha visto la pellicola. Teme sia brutta. La vede a Bologna la sera della prima: è entusiasta. Alla pari dei tantissimi spettatori che decreteranno lo strepitoso successo del film. Verdone è giovane. Un volto ingenuo. Lo affianca la sfavillante Eleonora Giorgi. A un certo punto si reca da un amico. Verdone è in giacca e cravatta. Sembra un venditore di spazzole o enciclopedie porta a porta. L’amico, a torso nudo, è fasciato da un asciugamano. Gli parla dell’America. Paese bello, affascinante, ma anche strano. Pieno di contraddizioni. Poi spara la rivelazione: «Tu lo sai per esempio che John Wayne era frocio?». Verdone, stralunato, si porta una mano alla testa. «No! Che notizia!». Con questa scena si apre Travolti da una insolita censura, esilarante quanto istruttivo film di montaggio con spezzoni del cinema italiano recente, realizzato da Luca Beatrice (battitore libero della critica d’arte e brillante scrittore) e Luigi Mascheroni (elegante e pungente firma del nostro Giornale) che sarà presentato domani al Torino Film Festival.
Diciamolo subito, senza giri di parole. Oggi Verdone quella scena sarebbe costretto a modificarla. Dovrebbe sostituire la parola «frocio» con un sinonimo «politicamente corretto». Altrimenti finirebbe alla gogna mediatica, azzannato alla gola da petulanti tutori del Nuovo Ordine Progressista, con l’accusa di sessismo e omofobia.
I quaranta minuti di Travolti da una insolita censura scorrono veloci. E suscitano una domanda: come è stato possibile, trascorsi solo pochi decenni, un cambiamento così radicale? E così autolesionista? Ha trionfato la «cultura del piagnisteo», di importazione nordamericana. Ad essere più precisi delle due coste nordamericane. Una moda invasiva. Fanatica. Talvolta onnipotente. Giorno dopo giorno il cinema italiano si è adattato al Nuovo Ordine Progressista.
Beatrice e Mascheroni ce ne forniscono la prova evidente.
Marcello Mastroianni picchia ripetutamente Monica Vitti in un locale gremito, senza troppi problemi, in Dramma della gelosia. Tutti i particolari in cronaca (1970) di Ettore Scola.
La scena si conclude con il commento sarcastico di un barelliere romanaccio: «Stavorta tè ita bene». Non è da meno Alberto Sordi in Amore mio aiutami (1969). Vittima predestinata, riempita di schiaffi, è sempre la Vitti, responsabile in entrambi i film di amare un altro uomo. E il marinaio Giancarlo Giannini che tiranneggia Mariangela Melato in Travolti da un insolito destino in un azzurro mare d’agosto (1974) di Lina Wertmüller? E Mastroianni che lancia il bastone in acqua alla donna che deve prontamente riportarlo in La cagna (1972) di Marco Ferreri?
Oggi parleremmo di uomini che odiano le donne. Nell’esilarante montaggio c’è di tutto.
Allusioni pesanti, palpeggiamenti, battutacce da caserma.
Sempre Verdone, in Gallo cedrone (1989), smesso l’abito sbiadito, rimpiazzato da magliette aderente e bandana, seduto al volante di un’auto sportiva decappottata, corteggia una signora abbastanza formosa. Prima le dice che le scarterebbe volentieri il panettone (leggasi lato B). Poi, appreso che la donna ha un fidanzato, riparte seccato: «Tanto manco me ce entravi in macchina».
L’accusa odierna? Body sha ming. Eppure, quando li vedemmo in sala questi film, tutto ci sembravano fuorché «politicamente scorretti». Per non parlare di quell’enciclopedia (diremmo oggi sessista, maschilista, omofoba, patriarcale) delle Vacanze di Natale e cinepanettoni annessi. Il re incontrastato è Christian De Sica. Ha giocato tutti i ruoli in commedia. Seduttore, traditore, puttaniere. Persino omosessuale. Quando i genitori lo scoprono a letto con un uomo, lui si difende. Chiede, nella definizione del suo orientamento sessuale, un termine meno volgare. Bisessuale certamente.
Oppure moderno, meglio ancora. Il padre ribatte infuriato: «No, frocio». Ancora. Impegnato nel corteggiamento di una bella ragazza che si definisce timida, le risponde: «Timida cara? Co’ sta faccia da zoccola!». Non poteva mancare Checco Zalone. In Cado dalle nubi (2009) cerca di reagire al Nuovo Ordine Progressista con una canzone «politicamente scorretta»: Gli uomini sessuali. È uno dei successi più clamorosi del cinema italiano.
La censura progressista vigila con occhio accigliato. E c’è sempre qualcuno che la frega.


Fortunatamente.

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