Eros e Thanatos, Caino e Abele, atti mitopoietici, gli archetipi di C’era una volta in America e Rocco i suoi fratelli, la storia di un antieroe, la membrana sottile del confine tra il porno e la vita. Si vola alto al festival di Berlino durante l’incontro con i registi, gli autori e il cast di Supersex, con le definizioni della serie Netflix sulla vita, la (piccola) morte e il miracolo in mezzo alle gambe di Rocco Siffredi, la pornostar più famosa al mondo nei cui panni si è completamente calato Alessandro Borghi, protagonista di più di quaranta sequenze di sesso – così ha titolato Variety – che «oltrepassano i confini» (sicuramente una fellatio in un cimitero, ai funerali della madre, farà discutere).
Il trentasettenne e camaleontico attore romano che, in un nudo frontale, eguaglia senza effetti speciali Rocco Siffredi, dice di essersi «interrogato su se stesso e sulla sua educazione sessuale» e risponde senza infingimenti sulle sequenze hard alle quali era presente la nuova figura dell’intimacy coordinator: «È faticosissimo fare l’amore per finta perché oltretutto non c’è il premio finale».
Una verità che fa il paio con le tante che i sette episodi, visibili dal 6 marzo, della serie consigliata per i maggiori di 16 anni, creata e scritta da Francesca Manieri, prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment (gruppo Fremantle) e da Matteo Rovere (che ha diretto tre episodi insieme ai due di Francesca Mazzoleni e agli altri di Francesco Carrozzini) per Groenlandia (gruppo Banijay), cercano di raccontare a partire dalle origini, dall’infanzia segnata dalla morte del fratello Claudio, di Rocco Tano che, da semplice ragazzo di Ortona in Abruzzo si è trasformato in Rocco Siffredi, mito del cinema porno quello «vecchio stile, fatto per vocazione» perché, dice, quello di oggi di Internet è «solo per soldi».
La chiave di tutto è il ritrovamento di un giornaletto sconcio in cui l’eroe si chiama “Supersex” grazie a cui Rocco scopre il suo superpotere. «Lui è il ca...o del mondo» dice con una sineddoche, e senza troppi giri di parole (d’altronde l’episodio conclusivo s’intitola proprio Ultimo viene il ca...o), la sceneggiatrice Francesca Manieri che parla di una storia come «eterno coming of age ibridato con un melò» in cui «gli uomini non sono più liberi delle donne ma sono solo costretti a essere più violenti».
La serie racconta anche la nascita del cinema porno in Italia con le sue icone, tra cui la splendida Moana Pozzi (Gaia Messerklinger) con il demiurgo e visionario Riccardo Schicchi (Vincenzo Nemolato) e la sua agenzia Diva Futura, infine lo sbarco negli Stati Uniti di Rocco Siffredi che, nella realtà, è pienamente soddisfatto della serie: «Ho avuto la fortuna che hanno in pochi di avere la propria vita rappresentata. Èd è reale al 98 per cento con una piccola parte romanzata per proteggere alcuni familiari», dice l’attore, 60 candeline a maggio, che compare anche in un cameo.
E proprio quando si parla della famiglia, il roccioso Rocco scoppia in lacrime indicando Adriano Giannini, che gli siede accanto, interprete del complicato e amato fratellastro Tommaso che, in una Parigi fassbinderiana, spingerà alla prostituzione la compagna Lucia (Jasmine Trinca), la donna più desiderata di Ortona: «Odio la finzione che è la vera pornografia, non sono mai riuscito a fingere ma un po’ ho voluto proteggere mio fratello, in una parte struggente per me, per cercare di creare per la nostra famiglia qualcosa di più bello.
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