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La sociedad de la nieve, il film di chiusura a Venezia 80

La sociedad de la nieve è il film di chiusura della 80a Mostra del Cinema di Venezia: una pellicola che racconta una terribile storia di sopravvivenza, quella del disastro aereo avvenuto nelle Ande negli anni Settanta.

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Nel 1993 il regista Frank Marshall aveva portato sul grande schermo la vera storia della tragedia delle Ande nel film Alive - Sopravvissuti. Ora la storia vive di una nuova veste cinematografica grazie al regista J.A. Bayona e al suo ultimo lungometraggio, La sociedad de la nieve, che è stato scelto come film di chiusura dell'80esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.

Una co-produzione ispano-americana che debutterà su Netflix e permetterà forse anche alle nuove generazioni di conoscere una delle storie di sopravvivenza più incredibili e brutali di tutto il Novecento, quella che è passata alla storia con il nome di milagros de los Andes. La storia - che il film di Bayona segue pedissequamente - prende il via quando una squadra di rugby decide di imbarcarsi su un aereo diretto verso il Cile.

A bordo del velivolo ci sono quaranta passeggeri e cinque membri dell'equipaggio. Il viaggio, che parte nell'entusiasmo generale, si trasforma in un incubo a pochi chilometri dall'arrivo. A causa di un errore di calcolo dei piloti sulla traiettoria, l'aereo colpisce la Cordigliera delle Ande, spaccandosi in due e precipitando al suolo. I pochi superstiti all'impatto si trovano circondati da montagne ricoperte di neve, con temperature rigide: molti sono rimasti feriti durante l'impatto e ben presto qualsiasi speranza di essere recuperati dai mezzi di soccorso svanisce davanti alla consapevolezza di risultare pressoché invisibili agli occhi dei piloti che li stanno cercando nella zona sbagliata. Da quel momento in poi prende il via una disperata lotta alla sopravvivenza, che porta fino alla distruzione di uno dei tabù principali delle società civilizzate: il cannibalismo.

Bisogna sottolineare sin dall'inizio che La sociedad de la nieve è un film che potrebbe non essere adatto a tutti: J.A. Bayona realizza una pellicola in cui non risparmia niente: la sua macchina da presa porta sul grande schermo un incidente terribile, spaventoso, che porta lo spettatore a sviluppare un forte senso di empatia con quello che vede avvenire in sala: un'empatia che presto si trasforma in una tensione costante, un dolore incessante accompagnato dall'ansia di vedere tante persone tanto giovani essere costrette ad accettare di doversi cibare dei propri amici o di dover morire perché altri possano avere almeno la possibilità di sperare in un salvataggio.

Si tratta di un film che riflette molto sul senso di colpa tipico dei sopravvissuti alle grandi stragi, quello stesso senso di colpa che aveva investito ad esempio anche coloro che erano riusciti a tornare a casa dall'Olocausto. In effetti per tutto il film sembra aleggiare sempre la stessa variante della stessa domanda: "perché io?" oppure "perché a me?" J.A. Bayona si prende tutto il tempo per analizzare questa domanda: lo fa ritraendo coloro che cercavano consolazione nella fede, in coloro che si sono macchiati le mani e l'anima pur di salvaguardare l'innocenza di altri. L'occhio della telecamera è in ogni angolo, in un ogni respiro che si condensa in un gelo che le parole non sono in grado di spiegare.

Pur non facendo ricorso a dei ricatti emotivi che sarebbe stato semplice utilizzare in una storia come questa, J.A. Bayona costringe lo spettatore a guardare, a testimoniare quello che avvenne nell'ottobre del 1972, quando la vita di quattordici superstiti cambiò per sempre. Perché quello raccontato da La sociedad de la nieve è un inferno che non finisce, è un incubo che si protrae negli anni, come un'ombra che rimane nella mente di chi ha avuto un'esperienza più o meno diretta con il disastro aereo. E Bayona insiste anche su questo aspetto: quello che da molti è stato raccontato o anche solo percepito come miracolo, per altri è una condanna alla dannazione eterna, un passato che si vorrebbe cambiare ma rimane impresso a fuoco nella coscienza di chi sa di aver dovuto fare di tutto per poter sopravvivere.

Pur prendendosi il suo tempo per raccontare le tante implicazioni di un racconto di questa portata, J.A. Bayona dirige un film che non permette mai all'attenzione di abbassarsi o alla tensione di concedere un attimo di respiro.

Questo fa si che le quasi due ore e trenta di durata scivolino via senza che si senta la pesantezza della messa in scena, ma solo quella delle tante vite spezzate da un incidente che rimarrà nella storia, come un relitto sepolto dalla neve.

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