Cinema

La prima volta a Cannes, i 9 bodyguard, Spielberg: "Rendez Vous" con Meryl Streep

Aneddoti straordinari e una nuova standing ovation durante l'incontro con l'eterna diva che però assicura di essere rimasta una ragazza del New Jersey

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Al Festival di Cannes Meryl Streep ha regalato aneddoti gustosi per oltre un’ora nel Rendez Vous che l’ha vista protagonista, all’indomani della sua premiazione con la Palma d’Oro onoraria.

Mattatrice assoluta anche fuori dal set, la diva si è regalata generosamente ai suoi estimatori che l’hanno accolta con una lunga standing ovation, la seconda dopo quella commovente alla cerimonia di apertura.

Ha esordito dicendo che non si sarebbe mai aspettata di provare così tanta emozione la sera prima. «Ho sentito il potente sentimento che veniva dal pubblico». Riguardo al cinema europeo si è detta dispiaciuta di essere troppo in là con gli anni per recuperare tutti i grandi film stranieri che si è sempre ripromessa di guardare. Per lei «i film non sono mai abbastanza, perché contribuiscono alla nostra crescita non solo da bambini, ma anche da adulti».

La prima volta e unica volta precedente a Cannes fu trentacinque anni fa con “Un grido nella notte”, film che le valse il premio come migliore attrice. Racconta che all’epoca le assegnarono ben nove guardie del corpo, malgrado lei sostenesse che ne sarebbe bastata una; ebbene, una volta al Festival, di fronte al muro di folla che si dimenava, si rese conto che ne sarebbero servite molte di più. «Ero fisicamente terrorizzata. Non sono mica una rockstar; non dico che la mia vita sia noiosa ma a casa mi trattano decisamente in un altro modo».

Tra gli aneddoti, gustoso quello relativo al primo Oscar, per il film “Kramer contro Kramer”; lo perse addirittura in giro la sera stessa della premiazione. «Avevo un abito enorme da gestire», si giustifica sorridendo.

Nel ricordare il film “La mia Africa”, mima sull’intervistatore lo shampoo sexy che le fece Robert Redford; «è una cosa molto intima, se ci pensate». Anche se sullo stesso set si trovò a recitare con una presenza inaspettata: un grosso insetto le si era intrufolato sulla schiena e le era poi stato schiacciato addosso a fine ripresa.

Continuando la carrellata su una carriera ineguagliabile, forte di 21 nomination all’Oscar e tre statuette vinte, Streep si sofferma su una cosa che tutti le riconoscono: nessuno domina gli accenti come lei. Racconta in proposito che il figlio la prende in giro e se deve passarle una telefonata dall’India la informa di attivare l’accento indiano.

L'attrice prosegue rammentando film lontani nel tempo e ancora legittimamente osannati come “La scelta di Sophie”, passando per “The Iron Lady” che la intrigava perché la Thatcher del film era una donna di potere al tramonto e con una forte dicotomia tra l’amabilità interiore e l’apparenza severa, per approdare al titolo Netflix “Don’t Look Up” in cui veste i panni di Presidente degli Stati Uniti d’America; di quest’ultimo apprezza il veicolare messaggi seri attraverso lo sberleffo.

Ritiene che cantare (come ha fatto in “Mamma mia”) venga dal cuore e lei ha sempre amato l’Opera, fin da bambina. «Le basi classiche, la scuola di recitazione, le tecniche e i metodi diversi: tutto confluisce in un grande bagaglio con tante tasche, ma una persona non riceve vero aiuto se non dalla sua capacità di osservare e di mettersi a disposizione del mestiere senza protezione».

Dei ruoli ammette che «c’è sempre una postura o un vezzo o una suggestione particolare con cui caratterizzare di volta in volta i personaggi, ma non si tratta di veri azzardi autogestiti né di seguire alla lettera cosa dica il regista; la chiave è che chi dirige permetta di trovare il personaggio per tentativi, se serve».

Quando le viene chiesto chi sia il miglior regista con cui ha lavorato, dopo averne enumerati alcuni del calibro di Spielberg, Cimino, Eastwood, non fa un nome preciso, pur sottolineando come Spielberg sia un genio; preferisce dare la sua ricetta personale. «ll regista migliore è quello in grado di farti sentire sicura, ma anche di creare un set divertente».

De “I ponti di Madison County”, sa quanto sia un film importante per molti. «Le cinque settimane di ripresa furono meravigliose; Clint ha un modo tutto suo di dirigere».

L’ultima parte dell’incontro la riserva a una riflessione sul femminile.

«Oggi ci sono molti bei ruoli per le donne, ai miei tempi io ero l’unica in mezzo a tanti uomini. Never give up, never give up, never give up». L'immensa Meryl Streep si congeda così, con l’invito, ripetuto tre volte, a non mollare.

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