Cultura e Spettacoli

Cividale del Friuli Fondazione Canussio

Un giorno l’imperatore Caligola pose a una delegazione di Giudei la trita domanda: «Ma perché vi astenete dalla carne di maiale?», tra le sonore risate della corte. Un aneddoto, ma che apre la strada a un problema più serio. Qual era il rapporto tra Roma imperiale e il mondo ebraico? Integrazione? Mescolanza? Rifiuto? Le risposte fioccheranno a Cividale del Friuli, al XIII convegno promosso dalla Fondazione Niccolò Canussio (da oggi a sabato), prosecuzione di un impegno scientifico senza pari di ricerca e analisi sull’identità dei popoli e sui loro scambi nell’antichità classica. Un progetto che è decollato nel 2000 e che, finora, ha scritto sul tema pagine importanti, spaziando negli incontri passati dalla Spagna all’area balcanica, dall’Asia Minore al Medio Oriente.
L’attualità della proposta di quest’anno è rovente. In questo nostro tempo di migrazioni alluvionali, di globalizzazione sofferta, di Europa che cerca se stessa e arranca per ritrovarsi, mettere a fuoco le vicende di un’area - la Giudea - che sull’atlante moderno ingloba Israele, territori palestinesi e Giordania, i cardini dolenti tra Est e Ovest del mondo, è un metodo per avere le idee più consapevoli anche sul futuro. Historia magistra vitae: la storia insegna a vivere. È il precetto dell’umanesimo, basamento della nostra cultura, fiaccola che la Fondazione Canussio si ostina a tenere alta e ardente. Una task force di storici è pronta all’impresa. Sono i migliori. Gente specializzata nei settori, addestrata a spremere dai documenti ogni goccia di sapere, a far parlare le carte e le epigrafi monumentali scritte in una decina di idiomi antichi, dal latino al greco classico e ellenistico, dall’ebraico al caldeo.
Il titolo del seminario, ossia Iudea socia (alleata), Iudea capta (conquistata), è la formulazione sintetica di tre secoli abbondanti, dall’inizio del II secolo a.C., all’epoca del filelleno imperatore Adriano (117-138 d.C.), che represse l’ultima insurrezione capitanata da Simone bar Kokhba, con le sue folate di messianismo, e progettò di mutare in Aelia Capitolina il nome di Gerusalemme, edificando sui ruderi del Tempio un sacrario all’anacronistico Zeus dei pagani. All’inizio, la Roma repubblicana, già signora del Mare Nostrum e in corsa verso i favolosi mercati dell’oriente, vede nella Giudea una spalla privilegiata (socia) per abbattere la potenza ostile della Siria, e annettersi l’ultima sponda disponibile del Mediterraneo.
Politica e diplomazia di spinte e controspinte che ricorda l’oggi, con i paesi interessati all’area pronti ad appoggiare ora l’uno, ora l’altro dei contendenti in quel settore di collisioni perenni. Lo spartito mutò con Pompeo, che nel 63 a.C., intromettendosi di forza negli affari interni della Giudea, la rese tributaria di Roma (capta), preparando la via alla sua trasformazione costituzionale in un’inquieta provincia procuratoria. I magistrati - il più noto è Ponzio Pilato - non erano entusiasti di accettare quella sede. Strane forze erano in gioco, a Gerusalemme, ardori religiosi poco comprensibili ai romani, l’attesa di un redentore nazionale, i contrasti tra le sette, e un rancore contro i dominatori che covava sotto la cenere, deflagrando in rivolte puntualmente rintuzzate nel sangue. Piegare i Giudei al fisco romano era un eterno problema. Parlare di antisemitismo è sbagliato. Nel DNA di Roma antica non esisteva l’avversione razziale. La vocazione della Caput mundi era imperiale. Inglobare e romanizzare. E il fine giustificava ogni mezzo.

Come porre un re, Erode il Grande, fan di Roma, sul trono fantoccio di Gerusalemme.

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