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«Così le agenzie per il lavoro aiutano l'Italia a ripartire»

L'ad di Openjobmetis analizza i primi 20 anni del settore: «Risultati eccezionali, ma occorre più dialogo»

Onofrio Lopez

Dottor Rosario Rasizza, ad di Openjobmetis e presidente di Assosomm, come si possono definire i primi vent'anni della normativa sul lavoro in somministrazione e qual è stato un elemento distintivo di questa trasformazione?

«È stato un ventennio entusiasmante, straordinario, di crescita e di cambiamento. Basti pensare che è cambiato anche il nome: da interinale a lavoro in somministrazione».

Dal suo punto di osservazione che cosa ha funzionato di più e cosa meno in questi due decenni?

«Ha funzionato l'equiparazione tra lavoratore somministrato e lavoratore dipendente e quella tra le agenzie per il lavoro controllate dal pubblico e quelle private. Non ha funzionato in alcuni casi il dialogo, perché la nostra categoria poteva essere coinvolta maggiormente dal legislatore ogniqualvolta è stata modificata la normativa».

Vale anche per l'Anpal, l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, che è stata investita sia delle politiche attive che di quelle passive per l'occupazione?

«L'Anpal ha ancora bisogno di definire la propria fase di startup, deve chiarirsi prima internamente per proporsi al meglio sul mercato. Il presidente dell'Agenzia, Maurizio Del Conte, potrebbe benissimo farsi una chiacchierata con noi di Assosomm e di Openjobmetis vista la nostra comprovata esperienza nel settore. Abbiamo provato ad aprire un canale di comunicazione nei mesi scorsi, ma ancora non ci siamo sintonizzati. Dal 2015 Openjobmetis è anche una società quotata in Borsa, quindi siamo votati al miglioramento delle performance».

Qual è la difficoltà nella relazione, ma anche nell'operatività?

«Ci sono due tipi di problematiche. In primo luogo, finché il lavoratore non è obbligato all'iscrizione (la normativa obbliga all'iscrizione all'Anpal solo coloro che presentano richiesta per l'assegno di ricollocazione; ndr), la valutazione delle competenze e delle possibilità di inserimento o reinserimento non potrà essere efficace. In secondo luogo, con l'iscrizione all'Anpal non si perde la cassa integrazione e questo potrebbe costituire un disincentivo al ricollocamento. Sono errori che derivano dal non essersi confrontati sufficientemente con chi conosce bene la tematica del lavoro come agenzie per il lavoro».

Le agenzie per il lavoro sono dislocate in massima parte sul territorio del Nord Italia. Cosa rende il Sud meno attrattivo per il vostro core business?

«Nel Mezzogiorno abbiamo un concorrente in più: il mercato irregolare del lavoro. L'elevatissimo tasso di disoccupazione fa sì che al Meridione si tenda ad accettare qualsiasi tipo di offerta lavorativa, legittimando vari abusi. Ma anche in questo ambito si registra un cambiamento. Ad esempio, Openjobmetis ha sei filiali in Puglia, quattro sia in Sicilia che in Campania e due in Calabria. È un segnale incoraggiante di come al Sud ci siano sempre più imprese che vogliono operare in maniera regolare nel mercato del lavoro».

Il dibattito politico-economico attuale è tutto concentrato sulla decontribuzione per i neoassunti «under 35» da inserire nella legge di Bilancio 2018. Non sarebbe, secondo lei, necessario pensare anche a un percorso comune con l'apprendistato?

«Il discorso va affrontato in un contesto più ampio, partendo dalla scuola che troppo spesso è lontana dalla mentalità e dalle esigenze del mondo del lavoro. Non è possibile che i giovani che escono dalla scuola non abbiano mai visto un'azienda in vita loro. Questa distanza spesso scoraggia le imprese che sono già costrette a confrontarsi con un ambiente difficile. Ritengo che ogni imprenditore sia un eroe perché manda avanti un'azienda combattendo contro una burocrazia che gli è ostile. E mi riferisco anche all'apprendistato, reso un percorso a ostacoli dai continui cambiamenti normativi».

I recenti dati Istat sull'occupazione hanno messo in evidenza come la creazione dei posti di lavoro sia legata esclusivamente ai contratti a termine. Lei come interpreta le polemiche del sindacato?

«Ogni contratto a termine merita rispetto perché è l'inizio di un percorso. Se un lavoratore disoccupato resta a casa, non succede niente, la sua situazione è immutata. Se, invece, viene contrattualizzato, le sue qualità possono essere apprezzate dal datore di lavoro. Ecco perché credo che un contratto a tempo determinato non sia da considerarsi un lavoro di serie B.

Noi non vogliamo polemizzare con nessuno e ricordo che con il sindacato stiamo serenamente rinnovando il contratto collettivo di somministrazione, ma abbiamo anche il compito di suggerire nuove proposte per i doveri e i diritti dei lavoratori».

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