Il crac di Meridiana: un'azienda distrutta da giudici e sindacati

La compagnia aerea sarda è sull'orlo del fallimento ma il tribunale ordina di ricollocare in servizio a tempo indeterminato 600 assistenti di volo assunti come stagionali

Il crac di Meridiana: un'azienda distrutta da giudici e sindacati

low cost cannibalizzano il mercato, offrono tariffe stracciate e fanno a pezzi i gloriosi ma esausti vettori tradizionali. Non basta. In Sardegna, l'articolo 18 dev'essere considerato una legge all'acqua di rose. Un palliativo. Siamo al jobs act alla rovescia. Non è uno scherzo. I dipendenti di Meridiana, un blasone che oggi rischia di finire nella polvere, si mettono in fila al tribunale di Tempio Pausania: seicento stagionali fanno causa all'azienda e sbaragliano la controparte. Altro che articolo 18. La catapulta azionata dalla magistratura li colloca al lavoro dodici mesi l'anno. A tempo indeterminato. È il 2010 quando la carta bollata entra a bordo. E mette piombo nelle ali che già faticano a stare in quota.

Il disastro di Meridiana ha vari padri. Ma per cercare i complici non bisogna andare lontano. Magistratura e sindacato, anzi sindacati perché la rappresentanza dei lavoratori è sbriciolata in almeno nove sigle, ci hanno messo il carico. Sia chiaro, la crisi ha origini diverse: dal 2007 l'invenzione dell'Aga Khan non fa utili. E lui, il principe che guida gli ismailiti e dunque 15 milioni di musulmani moderati e rassicuranti, ci ha messo 350 milioni di euro. Un salasso.

Un bancomat spremuto tutti i giorni peggio di un limone. Solo che lo sforzo non ha prodotto risultati. E Meridiana ha perso punti. Gli aerei, per dare un guadagno, dovrebbero viaggiare pieni. O quasi. Ed ecco la trovata: si possono stipare di assistenti di volo. Steward e hostess. Che hanno lavorato, come è normale sulle tratte dell'industria della vacanza, nei mesi estivi. Per fare poi altro nel resto dell'anno. C'è un appiglio legislativo, uno dei tanti di questo disgraziato Paese. E così a centinaia fanno ricorso. Vincono e vincono alla grande. Perché non solo ottengono l'assunzione, ma, già che ci sono, pure la ricostruzione della loro intermittente carriera. Soldi e ancora soldi. L'Aga Khan, cui in cinquantuno anni, nessun comune della Sardegna ha mai dedicato nemmeno una targa di ringraziamento, paga altri 15 milioni. Il deficit sale fin sulle nuvole.

Nel 2011 parte la cassa integrazione quadriennale. Il personale è tanto. Troppo. Il rischio, estremizzando, è quello di avere gentile signore in divisa che offrono il caffè a un sedile vuoto. E maledettamente caro, perché il costo medio industriale di un posto a sedere è di 80-90 l'euro l'ora. Novanta euro per raggiungere il break even (pareggio) operativo di un volo. Un'enormità.

Qualcuno però decide di correre incontro al precipizio. Duecento dei seicento ormai ex stagionali scelgono la cassa integrazione a zero ore. Con l'80 per cento dello stipendio garantito. Gli altri rientrano al lavoro a rotazione. Ma è difficile, molto difficile, invertire la rotta.

Qualche giorno fa anche l'amministratore delegato Roberto Scaramella lancia una sorta di sos in un'intervista al Corriere : «Le perdite operative ammontavano a 110 milioni nel 2012. Quando arrivai nel gennaio 2013 la compagnia era tecnicamente fallita». E oggi? Scaramella punta il dito: «Meridiana ha il fardello di problemi accumulati nel tempo. Non ultimo il fatto che un giudice del lavoro ha imposto di assumere a tempo indeterminato 600 assistenti di volo stagionali».

Gli stessi che attraverso leader e leaderini ipersindacalizzati di marca autonoma s'impuntano in una trattativa corpo a corpo con l'azienda. L'imbuto della cassa integrazione si stringe fatalmente verso la mobilità e i licenziamenti. Si tratta di limitare i danni. Ma la partita diventa un match. Il clima s'incattivisce. Domenica scorsa l'equipaggio che si appresta a salire su un Md-80 viene circondato da un gruppo di personaggi mascherati. Minacce. Occhiali che volano e si rompono. Lancio di uova e farina.

Forse una provocazione vagamente goliardica, ma anche il segnale che a Olbia, al quartier generale della società, non si scherza. Il fronte del no non si accontenta di quel che l'azienda e le istituzioni mettono sul piatto. E rilancia, anche se siamo a un passo dal tracollo.

La legge Fornero fa da spartiacque. Se si chiude l'accordo entro il 31 dicembre lo scivolo accompagnerà la discesa verso terra dei 1.634 sfortunati per sei anni. Sì, sei anni. I tre canonici, più i due previsti (e già concessi ad Alitalia) dal Fondo speciale per il volo, più uno garantito dalla Regione Sardegna. Sei anni più i quattro della cassa integrazione fanno dieci anni. Non è poco, anche se drammi e lacerazioni come la perdita del posto non hanno prezzo.

In ogni caso l'alternativa è di gran lunga meno soft: se si supera quella data scattano le nuove regole. La forbice taglia impietosa e il periodo protetto si accorcia a cinque, quattro o solo tre anni, a seconda dell'età. Non importa. La corsa verso il grande salto nel vuoto, come la canoa che rema verso l'abisso in una celeberrima scena di Mission , prosegue.

Meridiana ha in pancia Air Italy che è la versione smart di un prodotto troppo pesante. Air Italy è una compagnia giovane, ha costi bassi, una logica al passo con i tempi duri che viviamo. Per farla breve ha un costo industriale del 20-25 per cento inferiore rispetto ai numeri, ormai fuori mercato, di Meridiana. Ma soprattutto in linea con il mercato europeo. Forse Air Italy potrebbe rappresentare un modello. Certo, è un angolo azzurro nel cielo nero. Intanto, i duri non mollano di un centimetro. Scaramella invece ha gettato la spugna. Dimissioni e tanti saluti. Al suo posto si è già insediato, con la qualifica di vicepresidente, l'irlandese Richard W. Creagh. Forse il retropensiero generale è che il solito Aga Khan alla fine metterà mano al portafoglio staccando un assegno da 70-80 milioni. Chissà. Intanto più di una divisa scrive al Giornale : «Siamo con l'azienda, ma, per carità, non metta i nostri nomi». Messaggi in bottiglia affidati a un'e-mail.

SteZu

Commenti