Cultura e Spettacoli

Da Croce a Berselli passando per Montanelli: gli italiani raccontano gli italiani

Una piccola e gustosa antologia raccoglie
i migliori saggi e gli articoli dei grandi
intellettuali del nostro paese a proposito
del senso di Patria e dell'identità nazionale

Matteo Sacchi
Fare l'Italia è stato un lavoro sporco, pieno di intrighi, morti, tradimenti, sangue e papocchi politici. Ma del resto è normale: le nazioni nascono così. I popoli no. Spesso hanno una loro identità, migliore e meno pataccata di quelle costruite dalla politica. Gli Italiani paiono fare eccezione. Anzi, i padri della patria, D'Azeglio in testa, si sono sempre preoccupati per la latitanza dei cittadini e del senso di cittadinanza, della fatale mancanza di italianità o dell'esistenza di un'italianità bonaria ma tristanzuola e maneggiona.
Insomma, gli italiani che si guardano allo specchio non sono quasi mai soddisfatti dall'immagine che si vedono restituire e le rare volte che lo sono è pure peggio (si cospargono di quella cipria di cattiva qualità che è la boria dei parvenu, diventano arcitaliani).
Un cortocircuito interiore, questo, che ha costretto i migliori tra i nostri intellettuali a interrogarsi sulla loro essenza (bianca rossa e verde). Ecco perché, in clima di centocinquant'anni e di festeggiamenti unitari, diventa una lettura utile (divertente lo sarebbe stata comunque) la piccola antologia curata da Filippo Maria Battaglia e Paolo Di Paolo: Scusi lei si sente italiano? (Laterza, pagg. 194, euro 15). Raccoglie le riflessioni sul tema di alcune delle più importanti firme del giornalismo e della cultura dell'ultimo secolo : Ansaldo, Arbasino, Berselli, Biagi, Bobbio, Gentile, Gramsci, Longanesi, Montanelli, Savinio, Scalfari e tanti altri...
Le prese di posizione e i ponzamenti sono i più varii. Ci sono i negazionisti alla Ennio Flaiano: «Prima di tutto bisognerebbe provare che sono italiano... Non sono fascista, non sono comunista, non sono democristiano: ecco che mi restano forse venti possibilità su cento di essere italiano. Non scrivo e non parlo il mio dialetto, non adoro la città dove sono nato, preferisco l'incerto al certo, sono per natura dimissionario, non sopporto il paternalismo, le dittature e gli oratori. Il gioco del calcio non mi entusiasma... per molti l'italiana non è una nazionalità è una professione ». Ci sono gli orgogliosi ma tristi alla Indro Montanelli: «Quel poco che sono sento di esserlo come italiano; e che se non fossi più italiano, non sarei più nulla... L'Italia però è finita... Per me non è più la Patria. È solo il rimpianto della Patria».
E poi ci sono i patriottardi, tra a cui a sorpresa, per molti, Michele Serra: «Succede (non solo a me, credo) che l'idea di vedere il tricolore sugli edifici pubblici risulti piacevole. E siccome non si deve essere ipocriti, va subito aggiunto che per una parte considerevole di italiani delle ultime due o tre generazioni (la sinistra, per intenderci), questo piacere è piuttosto inedito». Ma va da se che ognuno di noi potrebbe sposare ciascuna di queste posizioni a seconda dell'umore del momento... O sposare una qualunque delle altre presenti nel libro, la stizza di Malaparte per una «Patria che non sopporta la verità», l'ammirazione di Giovanni Ansaldo, grato ai piccoli borghesi della Milano anni '50 quelli che per lui erano gli italiani veri, oppure le ire di Scalfari contro il mancato senso di cittadinanza dei nostri connazionali (i connazionali cattivi sono sempre gli altri).
E chiudendo il libro infatti potrebbe anche venirci in mente che essere italiani è proprio questo: discutere continuamente di noi stessi. È un vezzo tutto nostro. E forse lo aveva già intuito Benedetto Croce nel lontano 1912 (sempre antologizzato da Battaglia e Di Paolo): «Non v'ha circolo di perditempo in cui non si passino a rassegna gli orrori della presente società e non si presagisca il finimondo...». Insomma quasi tutti gli italiani sono «moralisti da caffe o da farmacia» (oggi diremmo abbaioni da pub o peggio da circolo colto o peggio da talk show). La differenza arriva solo quando i migliori smettono di parlare degli altri italiani e provano a fare, a modo loro, gli italiani..

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