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Appello per non dare il Nobel a Greta

Appello per non dare il Nobel a Greta

Più che un premio è una bussola. Lo specchio del politicamente corretto. Chi vince il Nobel per la pace, in arrivo questa settimana, sarà pure uno che è andato controcorrente, ma ora è l'icona del pensiero comune, un impasto sufficientemente vago e dolciastro di convinzioni imbevute in una filantropia progressista sempre alla ricerca del campione di turno. Così è stato, per esempio, per il vicepresidente americano Al Gore, paladino dell'ambiente, o per Yasser Arafat, a dir poco controverso leader dei palestinesi. Sì, ogni anno si premia la religione del momento e nel 2019 il vento spinge Greta Thunberg, la ragazzina svedese che lotta per un pianeta più sostenibile. C'è chi la ama, ritenendola una sorta di santa laica dei nostri giorni, e chi la detesta, considerandola un concentrato di luoghi comuni e stereotipi adatti al palato dell'opinione pubblica internazionale. Certo, nessuno può disconoscere il fenomeno mediatico innescato da questa sedicenne, partita in sordina e arrivata ad essere ricevuta come un'autorità mondiale. Il tema che pone è sacrosanto, la visibilità raggiunta è sbalorditiva, il resto appartiene alla nouvelle vague del pensiero contemporaneo. Sogni e paure, ovvietà e buoni propositi, una striscia di emozioni facili davanti a temi complessi che meriterebbero analisi attente, proposte meditate, meno slogan e più sostanza. Ma a volte un girotondo può scuotere più di una scoperta scientifica e il Nobel, il Nobel di questi tempi, è un rito purificatorio che consacra le speranze, le ingenuità e pure le illusioni di tutti noi.

Il premio è, o dovrebbe essere, un cuneo piantato nelle nostre coscienze, un pugno nello stomaco del bla bla contemporaneo, cartavetra sulle ipocrisie di questo mondo. Ma non sempre va così, anche se sono saliti sul palco veri fuoriclasse dell'umanità che con una vita coraggiosa hanno aperto strade nuove: da Lech Walesa a Nelson Mandela e Madre Teresa di Calcutta.

Non sempre l'applauso va agli eroi contemporanei che hanno messo la pace, intesa come sorella della verità e della carità, al primo posto. Prima addirittura della propria libertà. Esattamente come i tre candidati sauditi, rinchiusi con i loro ideali in un carcere per non dare fastidio a un regime che vuole recuperare la faccia dopo il terrificante caso Khashoggi. A volte, il Nobel è la proiezione di una favola di cui tutti abbiamo bisogno, una fiaba che non scontenta nessuno anche se il lieto fine è di là da venire. Se Greta dovesse spuntarla, sarà il trionfo di questa grammatica universale, leggera e impalpabile, adatta a placare, sia pure per un po', le nostre ansie e allergie alle vaschette monouso, alle nuvole di anidride carbonica e al clima che ci sfugge di mano. Dunque, un premio per convivere con le nostre ossessioni e la paura dell'apocalisse che ci portiamo dentro. Vedremo. In una lotteria da cui è uscito di tutto, potrebbe pure andarci peggio: lo scrittore Mario Vargas Llosa ha proposto la capitana Carola.

Meglio dare il Nobel al candore dei sogni.

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