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Assad al Giornale: "L'Europa sta aiutando l'Isis a colpirla"

Il presidente al Giornale: "Gli ufficiali e i governi lavorano contro i loro interessi aiutando i ribelli"

Assad al Giornale: "L'Europa sta aiutando l'Isis a colpirla"

Damasco La strada che porta dal Libano fino alla Siria è interrotta da continui checkpoint. I lealisti controllano ogni mezzo che passa perché il rischio di attentati è ancora altissimo. Ai soldati siriani si affiancano i militari russi, che ormai hanno funzioni di sicurezza in tutte le parti della Siria governate da Bashar Al Assad. Gli Occhi della Guerra tornano ancora in questo Paese tormentato da un conflitto fratricida. E lo fanno nel momento più delicato della storia: dopo la liberazione di Aleppo e in occasione della firma del cessate il fuoco. Una svolta che permette ai governativi di dettare le condizioni della resa e di puntare alle ultime roccheforti in mano ai ribelli.

Assad ci accoglie in una delle sue residenze. Ha il volto rilassato e saluta con un sorriso e una stretta di mano. Riusciamo a porgli alcune domande. Prima di tutto sui migranti siriani che stanno raggiungendo in massa l'Europa e che rappresentano nuove sfide sia dal punto di vista economico sia da quello della sicurezza, soprattutto alla luce degli attentati che in questo ultimo anno hanno flagellato il Vecchio continente. Assad parla lentamente, scandendo bene le parole e con un inglese impeccabile: «Se vuoi sapere cosa vogliono davvero i migranti, rispondo in qualità di siriano: vogliono tornare nella loro nazione. Tutti quanti vogliono tornare, ma poi pensano che cercano anche stabilità e sicurezza e che hanno anche bisogni di prima necessità. In questo caso non posso dire che li inviterò a tornare in Siria, perché questa è la loro terra e non hanno bisogno di un invito per ritornare. Ma quello che vorrei dire loro, in questo caso, è che i rappresentanti europei hanno creato questo problema supportando il terrorismo direttamente o indirettamente nella nostra nazione. Hanno creato questa onda di siriani diretti verso l'Europa e allo stesso tempo ritengono di aiutarli dal punto di vista umanitario. Non hanno bisogno del vostro supporto nella vostra nazione; hanno bisogno di supporto nella nostra nazione. L'Europa deve smetterla di supportare i terroristi e abbandonare l'embargo che ha spinto molti siriani a venire da voi. La loro fuga è stata determinata dall'embargo e non soltanto dal terrorismo, perché proprio a causa di queste proibizioni molti siriani non possono più vivere nella loro terra».

Le cause del conflitto sono molteplici. Le primavere arabe che dalla Tunisia hanno infiammato il Medio Oriente sono il primo fattore. Il moto di rivolta verso i governi autoritari, unito all'insofferenza, ha provocato un effetto domino che ha portato al disfacimento di nazioni come Libia e Siria. In quest'ultimo caso, però, il motivo vero della guerra sarebbe da ricercare, secondo quanto ci ha confidato Assad, nel suo «No» al sistema di pipeline proposto dal Qatar: «Quello è stato un momento molto importante. Non ci è stato offerto pubblicamente, ma credo che fosse pianificato. C'erano due vie che tagliavano la Siria; una di queste è quella Nord-Sud, legata al Qatar, mentre la seconda è quella Est-Ovest attraverso il Mediterraneo, che taglia l'Irak dall'Iran. Abbiamo deciso di costruire quest'ultima via che va da Est a Ovest. E credo che molte nazioni che si sono opposte alle politiche della Siria non volevano che il nostro Paese diventasse un hub di energia, con risorse e petrolio, e anche un incrocio di ferrovie». Una guerra civile scatenata dai Paesi del Golfo in nome del petrolio. Una tesi che trova spazio nella gran parte dei media arabi.

Assad è sereno nonostante debba girare di residenza in residenza per evitare imboscate. Sono i protocolli di sicurezza in tempo di guerra. Una guerra che ormai potrebbe finire. Ieri è stato confermato l'accordo sul cessate il fuoco. Una mossa importante, sviluppata da Iran, Russia e Turchia, per cercare di riappacificare il Paese dopo cinque anni. Dall'accordo sono stati esclusi i curdi (un'ingerenza di Erdogan assecondata dai russi) e i gruppi jihadisti, contro i quali continuano i bombardamenti a tappeto. Quelli che lui sta combattendo in Siria, ci spiega il presidente, sono gli stessi terroristi che, proprio la settimana scorsa, hanno colpito il cuore della Germania provocando 12 morti. Assad rivendica con orgoglio il fatto di essere uno dei pochi leader a combattere il terrorismo e chiarisce: «Il problema dell'Europa è che non vuole che la si aiuti. Gli ufficiali e i governi lavorano contro i loro interessi e gli interessi dei loro cittadini. Supportano il terrorismo nella nostra regione e aiutano il terrorismo ad attaccare l'Europa. Come posso aiutarli? Se non hai buone politiche prima dell'intelligence, non puoi raggiungere alcun risultato attraverso l'intelligence e le azioni militari».

I cristiani sono stati tra coloro che hanno sofferto di più nella guerra. Perseguitati e uccisi solamente perché credevano in Gesù. Ma, assicura Assad, avranno certamente un ruolo nella ricostruzione del Paese, assieme alle altre minoranze: «Se guardi la Siria non solamente oggi o negli ultimi due giorni, ma nell'ultimo secolo, puoi notare come sia sempre stata diversificata. È sempre stata un melting pot di religioni e di etnie. Senza questa diversità non ci sarebbe la Siria. Parlo ovviamente della Siria come società prima della guerra. A causa di questo conflitto ci sono stati diversi cambiamenti demografici, soprattutto in seguito allo spostamento delle persone all'interno o all'esterno della nazione. Dopo la guerra, la maggioranza dei siriani tornerà in patria e la Siria rinascerà perché finora non è ancora svanita. Questa guerra, inoltre, ha unito tanti siriani che hanno imparato moltissime lezioni. Se non ci accettiamo reciprocamente, se non ci rispettiamo reciprocamente, non possiamo avere una società unita e, così facendo, la Siria non rinascerà. Credo di non dovere solo parlare della rinascita della Siria, ma sento che, se non ci sarà più il terrorismo, la società civile sarà più forte di quella di prima del conflitto, anche grazie alle lezioni che abbiamo imparato».

Mentre salutiamo il presidente risuona lontano il boato di una bomba. Tutto scorre tranquillo a Damasco. Le auto corrono all'impazzata lungo le strade della città. Le coppiette passeggiano per strada.

Sembra che nessuno si accorga che, a pochi chilometri, impazza ancora la guerra. I jihadisti di Fateh al Sham, la vecchia Al Nusra non sono poi lontani da qui. Ma nessuno sembra che se ne accorga. E la vita prova a rinascere.

Ogni minuto del giorno.

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