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La strage silenziosa di chi fa sport. Il ciclismo fa più morti della Formula1

Il belga Lambrecht tradito dalla strada

La strage silenziosa di chi fa sport. Il ciclismo fa più morti della Formula1

Prima il mistero, forse un malore, i pallidi sospetti di controlli medici superficiali, poi, cruda, la verità: solo fottuto destino. Il Dio dello sport spegne un'altra giovane vita e lo fa nel modo crudele e distratto di quando si dimentica di noi. Bastano una disattenzione, un blocchetto rifrangente in mezzo alla carreggiata di una strada larga e paciosa, e una striscia di cemento nascosta nell'erba. Uno-due-tre. Sequenza bastarda e bestiale che porta via per sempre un giovane ciclista. Adesso resta il dolore, immenso. E domani rimarrà il ricordo del dolore. Poi, purtroppo, dopodomani sarà tutto come l'altro ieri. Tutto non dimenticato, ma tutto affrontato e vissuto e metabolizzato come fosse un inevitabile corollario. Perché è una fatalità, perché a volte accade, perché no, non deve, non va bene così. Questo splendido sport non si merita la pena che esso stesso contribuisce a infliggersi: quella di non essere percepito, né dai suoi attori, né dal suo pubblico, come veramente pericoloso. Basterebbe questa consapevolezza per adottare le giuste contromisure. Sulle attrezzature, sui tifosi cafoni e tracimanti. Invece si va avanti così, senza accorgersi che il ciclismo è ormai diventato, fra gli sport popolari e non violenti, il più pericoloso. Parlano i numeri. Più della F1 e delle auto che corrono veloci sfidando il buon senso. Più del motomondo che impenna e stacca e striscia e vola e a volte lascia figli suoi stesi sull'asfalto. Più dello sci che precipita atleti giù dalle montagne. Il ciclismo è più più più. Non lo è per incoscienza dei suoi eroi della fatica. Lo è per statuto naturale, per atto costitutivo, lo è per essenza. Unico sport di movimento in cui si è senza difese. Praticamente nudi. Cadere a 60 all'ora nudi durante una discesa del Tour equivale a finire contro un muro a 250 all'ora con tuta, casco e una scocca che ti protegge. Unico sport, il ciclismo, splendido e leggendario, affascinante ed epico, i cui eroi non si allenano al sicuro nei circuiti con le vie di fuga, nei campetti recintati, nelle palestre riscaldate, ma in mezzo al traffico. Alla mercé di incivili che gli suonano dietro se solo provano a proteggersi pedalando affiancati per evitare di venire spintonati nelle rogge. Unico sport dove un pilota di moto campione del mondo, un giorno, dopo aver sfidato la sorte a 300 all'ora in un Gp, ha preso la sua bici per una sgambata rilassante ed è uscito di casa. Morto. Investito. Nudo.

Si chiamava Nicky Hayden.

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