I bambini di Bibbiano

Bibbiano, non solo ideologia. Foti prolungava le terapie anche per ottenere più soldi pubblici

Il Tribunale di Bologna ha dichiarato che il terapeuta ha ricavato "un ingente profitto economico" grazie al sistema di Bibbiano

Bibbiano, non solo ideologia. Foti prolungava le terapie anche per ottenere più soldi pubblici

Strappavano i bambini alle proprie famiglie con false accuse e finte relazioni per poi affidarli ad amici e conoscenti e inserirli in lunghi percorsi di psicoterapia con gli psicologi della Hansel e Gretel presso il centro La Cura. Era questo l’obiettivo dei "demoni" di Bibbiano, di cui la Procura di Reggio Emilia ha scoperchiato un presunto giro d’affari. Un metodo ben collaudato che sarebbe stato portato avanti non solo per ideologia, ma anche per soldi. Il “guru” Claudio Foti, padre della onlus torinese che si era appropriata degli spazi del centro pubblico La Cura, in cui venivano mandati in terapia i bambini affidati ai servizi sociali, senza partecipare a nessuna gara pubblica, con questo meccanismo faceva cassa. Lo scrive, nero su bianco, - come riportato da La Verità - il giudice del Tribunale del riesame di Bologna, nell’ordinanza contenente le motivazioni del provvedimento che impone a Foti, prima ai domiciliari, l’obbligo di dimora a Pinerolo. Secondo il Riesame, Foti, ha “approfittato del suo ascendente per svolgere, per alcuni anni, psicoterapia su un numero elevato di minori, al fine di perseguire un ingente profitto economico, con parallelo danno per gli enti pubblici”.

Anni di psicoterapia a bambini e ragazzi che non ne avevano bisogno. All’ombra di un’ideologia questo è certo, ma anche lucrando sulla pelle di vittime innocenti. Come nel caso della ragazzina che Foti ha seguito, in terapia, fino a novembre del 2018, per riuscire a “far riaffiorare un passato abuso sessuale da parte del padre”. Secondo le carte, per ben tre anni, il terapeuta ha lavorato con la bambina incontrandola due volte a settimana e cercando di plagiare la minore al fine di farle raccontare abusi sessuali che, in realtà, non erano mai avvenuti. Le sedute con la paziente sono proseguite anche quando la giovane era ormai diventata maggiorenne, dopotutto, ogni incontro, erano soldi che finivano in tasca alla onlus del terapeuta. E il “luminare” non se li lasciava scappare facilmente. Che il terapeuta avesse l’obiettivo di accumulare denaro è “pacifico, poiché per ogni seduta il suo guadagno era di 135 euro, tariffa ben al di sopra e quasi doppia rispetto alla tariffa media di uno psicoterapeuta, pari a 70 euro” sostiene il giudice.

Tutti soldi pubblici. Ebbene sì, il tatrino paradossale messo in piedi da psicologi e assistenti sociali avrebbe provocato anche un danno ingente alle casse dello Stato. Come spiega il Riesame, “vi è stata una perdita economica per l’ente pubblico e uno sviamento dei beni pubblici dal loro uso tipico, rappresentati dalla sostanziale concessione a soggetti privati dei locali de La Cura, immobile destinato a uso pubblico e per cui l’amministrazione pagava un canone di locazione, senza ricevere alcun contributo dagli psicoterapeuti privati che da soli la utilizzavano e che percepivano alte remunerazioni per ogni seduta di psicoterapia ivi svolta, tra l’altro interamente pagata da soggetti pubblici”. Di fatto, secondo quanto scrive il Tribunale, “è stato violato il principio di trasparenza e di buona amministrazione”, poichè “l’assegnazione del servizio di psicoterapia di minori abusati, individuati dai servizi sociali, a soggetti privati è avvenuta senza alcuna regolare procedura pubblica, senza apposita gara o provvedimento motivato”. Motivo per cui, adesso Claudio Foti, si ritrova indagato per abuso d’ufficio.

Come si legge dalle carte della Procura di Reggio Emilia, il meccanismo era sempre lo stesso: “Gli affidatari venivano incaricati dai Servizi Sociali di accompagnare i bambini alle sedute private e di pagare le relative fatture a proprio nome”. Soldi che poi gli affidatari ricevevano mensilmente attraverso rimborsi sotto una finta causale di pagamento. In questo modo, si riuscivano anche a falsificare i bilanci dell’Unione dei Comuni coinvolti. Le sedute di psicoterapia, “venivano pagate dalla Asl con denaro destinato agli affidatari di minori bisognosi, senza che la reale destinazione del denaro fosse palesata”.

Ma c’è di più. Nel momento in cui i servizi sociali della Val d’Enza assegnavano l’incarico delle sedute di psicoterapia all’interno del centro La Cura agli psicologi della Hansel e Gretel, in una delle delibere, specificavano che non vi sarebbero state spese aggiuntive provenienti dalla collaborazione con la onlus di Foti. Fatto smentito dalle carte. Tutto questo nonostante, come specificano i magistrati, l'Asl di Reggio Emilia avrebbe potuto offrire lo stesso servizio gratuitamente. Cosa che però non è successa e che ha provocato un danno alla Pubblica amministrazione di 200mila euro.

Ma Claudio Foti non ne sapeva niente secondo il suo avvocato. Che continua a sostenere che l’assistito fosse ignaro di tutto ciò che riguardava denaro e pagamenti. Dal canto suo, il terapeuta agiva in buona fede, non curandosi della parte economica. Secondo i giudici però, e a fare attrito con le ragioni riportate dal legale dell’indagato è un fatto avvenuto nel lontano 2003, anno in cui Foti, “aveva formato una Srl per gestire la psicoterapia su larga scala, di cui lui era amministratore delegato, socio di maggioranza e diretto destinatario di ingenti somme elargite senza titolo dalla pubblica amministrazione per le prestazioni private camuffate da pubbliche a cui aveva preventivamente dichiarato che avrebbe rinunciato, ma aveva invece dato direttive alla segretaria per fissare le tariffe”. Ora come allora. Il meccanismo è esattamente lo stesso utilizzato per le sedute a La Cura. Insomma, pare che, il teraputa torinese, con i soldi sapesse bene come muoversi e che i sotterfugi per fregare le casse dello Stato non fossero per lui cosa nuova.

Per di più, secondo il giudice del Riesame, “la circostanza che vi fossero precedenti rapporti di conoscenza e collaborativi di Foti con Federica Anghinolfi, la dirigente amministrativa che aveva introdotto Hansel e Gretel nella realtà emiliana importandovi le persone che la rappresentavano, in primo luogo Foti, da Torino, induce a ritenere evidente che tra essi vi sia stato precedente accordo finalizzato a raggiungere il risultato concreto descritto”.

Rapporti che il teraputa della Hansel e Gretel evrebbe sfruttato, anche per ricavare denaro.

Secondo il tribunale di Bologna dopo essere “riuscito a inserirsi nel territorio emiliano potendo contare sulla totale dedizione a lui e al suo gruppo da parte degli assistenti sociali e responsabili dell’Unione Comuni Val d’Enza” Foti avrebbe approfittato di “tale ascendente per svolgere per alcuni anni psicoterapia di un numero elevato di minori, protratta il più a lungo possibile, al fine di perseguire un ingente profitto economico con parallelo danno per gli enti pubblici”.

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