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Il calvario di Schumacher e la lezione di Luis Enrique

Il calvario di Schumacher e la lezione di Luis Enrique

È un romanzo, il calvario di Schumi. Una triste favola gotica. Senza veri risvegli e senza veri principi azzurri.

Adesso sarebbe addirittura cosciente. Lo ha rivelato una dottoressa a cui lo avrebbe confidato una collega che a sua volta avrebbe visto Michael Schumacher nel proprio reparto dell'ospedale parigino dove fino a ieri, e per due giorni, il campione è stato ricoverato per cure staminali. O forse staminali. Perché alla fine, anche di questo non vi è certezza. Così come del motivo: si sarebbe sottoposto a terapie con cellule staminali per riaccendere le vie nervose dell'uomo imprigionato nell'immobilità, oppure si tratterebbe di ben altra problematica visto che il centro Pompidou è specializzato nelle malattie cardiache?

Sarebbe, avrebbe, tratterebbe. Sono troppi anni che il calvario fisico e medico del tedesco si è trasformato in un doloroso e scuro romanzo. Quello dell'uomo dei record in F1 e dei risultati certi condannato ad una vita descritta solo al condizionale e in cui regna l'incertezza. Adesso sarebbe davvero cosciente? Ma lo era anche prima. Lo è dall'aprile del 2014, dal risveglio dopo i mesi di coma indotto seguiti al terribile incidente sugli sci a fine dicembre 2013. Semmai, il mistero è da sempre un altro. Ovvero, quale sia il suo reale livello di coscienza. Vede, non vede, percepisce, non percepisce, lacrima, non lacrima...

Si potevano evitare questi capitoli opprimenti che si susseguono come le pagine di un libro ben scritto, costringendoci a leggere ogni volta in cerca di speranze che non ci sono o non vengono mai confermate. Gli Schumacher avrebbero potuto evitarci tutto questo e ancora potrebbero. Avrebbero così sollevato se stessi dalla curiosità morbosa e milioni di tifosi dal peso di trascorrere anni declinando periodicamente la sofferenza per il loro campione. Ci saremmo potuti risparmiare di trepidare e scrivere e dire e pensare di Michael immobile su un letto, di Michael immobile sulla sedia a rotelle, di Michael in stato vegetale, di Michael senza coscienza del mondo esterno, di Michael con coscienza dell'esterno, di Michael che lacrima, di Michael che guarda un Gp in tv ma lo guarderà per davvero e che cosa vedrà? Voci, indiscrezioni, sussurri, spifferi mai nati per caso, sempre frutto di passaparola e piccole crepe nella cortina sollevata a protezione del campione rinchiuso nel castello sul lago Lemano. Ci sarebbe stato un ladro in meno, un galeotto in meno, un morto suicida in carcere in meno, cioè il furfante che venne pizzicato a cercare di vendere ai giornali delle cartelle cliniche sottratte durante il primo ricovero.

Dalla Spagna, da un uomo, da una famiglia, nei mesi scorsi è arrivata la sofferta e tragica lezione di come si sarebbe potuta gestire e ancora si potrebbe la vicenda Schumacher. È la lezione del dolore più grande che ci sia, quella di un padre per la malattia senza speranza che ha colpito la figlia di nove anni. Una lezione densa di dignità e intelligenza, quella offerta con il viso tumefatto dalla disperazione dall'ex ct della nazionale iberica Luis Enrique. Per stare accanto alla sua piccola e alla famiglia, per accudirla e non perderne un sorriso e uno sguardo, Luis Enrique ha lasciato all'improvviso la panchina della Spagna. E subito, quando l'uomo, la famiglia, la federazione hanno capito che una spiegazione andava data altrimenti gialli, illazioni e misteri si sarebbero inevitabilmente alimentati, hanno riunito i media e spiegato. «E ora che sapete tutto, ora, per cortesia, rispettate la richiesta di silenzio». Così è stato. Per mesi. Ma così non sarà per Schumi.

Per anni.

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