Scena del crimine

"I genitori di Saman spariti? Ecco cosa succede in Pakistan"

Il giornalista pakistano Ahmed Ejaz spiega a ilGiornale.it perché la coppia non si trova. "Ma il giallo è a una svolta: ecco perché"

"I genitori di Saman spariti? Ecco cosa succede in Pakistan"

Potrebbe presto giungere a una conclusione il caso della scomparsa e del presunto omicidio di Saman Abbas. Dopo l’arresto del presunto esecutore materiale Danish Hasnain e la richiesta di estradizione per i genitori della giovane pakistana che si opponeva al matrimonio forzato, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, è possibile che si ritroverà il corpo della 18enne.

E Saman potrebbe ricevere giustizia. Una giustizia che è rigorosamente targata Italia, perché in Pakistan le leggi in merito sono differenti. Parola di Ahmad Ejaz, giornalista pakistano, mediatore culturale, cooperante internazionale spesso apparso a “Chi l’ha visto?”. “I genitori devono venire in Italia, essere arrestati e processati, perché qui non ci sono leggi legate al diritto d’onore - ha detto a IlGiornale.it - La richiesta di estradizione della ministra Cartabia è molto positiva”.

È fondamentale trovare Saman, ma anche contrastare fenomeni come il matrimonio forzato, l’infibulazione e la poligamia, che, come spiega l’esperto, sono usanze contrarie alla democrazia e ai diritti umani.

Ejaz, abbiamo speranze di ritrovare Saman?

“Io penso di sì, con l’arresto di Danish Hasnain. È l’unica persona che conosce dov’è il cadavere, anche se è stato fatto a pezzi. Lui parlerà. Danish è il fratello del padre di Saman: il cognome sembra diverso perché noi non abbiamo cognomi nell’ordinamento anagrafico. Gli altri cugini o i genitori sono coinvolti fino a un certo punto, perché una volta che hanno ‘consegnato’ Saman allo zio, sono rimasti lì, sulla strada. Poi lui ha compiuto il resto. Penso che Danish parlerà. La cosa più importante, per la prima volta nella storia dell’immigrazione pakistana in Italia, è la richiesta di estradizione che ha fatto la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Un'iniziativa molto positiva per le pakistane di seconda generazione, e non solo pakistane, ma anche bengalesi o indiane. In Italia sono state uccise più di 5 ragazze come Saman. E adesso arriverà anche la comunità afghana, che da sempre pratica i matrimoni combinati”.

Perché è così difficile localizzare e fermare i genitori di Saman?

“Un mio amico giornalista, che ha fatto il reportage per Chi l’ha visto?, è di Islamabad ed è andato nel villaggio di Saman. Ci sono 26-27 famiglie della tribù, della casta di Saman. Le tecniche che usa il dipartimento di polizia in Pakistan sono diverse da quelle italiane, non sono molto democratiche ma funzionano. Adesso che arriverà la richiesta dall’alto, sarà molto rapido l’arresto dei genitori. Ci sarà qualche critica, in particolare quando il Pakistan consegnerà la madre, perché una donna solitamente non viene considerata colpevole. Vediamo come si evolveranno le questioni diplomatiche. I genitori devono venire in Italia, essere arrestati e processati, perché qui non ci sono leggi legate al diritto d’onore. Sarà un passo positivo e quindi Saman, che ora è figlia di nessuno, avrà una sepoltura degna e un riconoscimento da parte dello Stato italiano che non abbandona nessuno di coloro che vivono in Italia, le persone con permesso di soggiorno o con la cittadinanza”.

Che pericoli ci sono attualmente per i parenti di Saqib, il fidanzato di Saman, che hanno chiesto il visto per l'Italia ma sono ancora in Pakistan?

“Sono stati minacciati perché Saqib viene da una casta bassa. È figlio di calzolai, come hanno definito nelle chiacchiere della comunità. Gli Abbas sono di casta alta. Lo zio di Saman (il fratello della madre, ndr) è un poliziotto di alto grado. In passato gli Abbas hanno minacciato i parenti di Saqib, che sono poveri e ora vivono nella paura, sono costretti a cambiare continuamente residenza per nascondersi. La famiglia allargata degli Abbas, fino al quarto-quinto grado, è famosa per essere una famiglia potente. L’arresto dei genitori farà arrabbiare ancora di più. Consiglierei a Saqib di far nascondere i suoi parenti anche in Pakistan, se non riesce a farli venire in Italia”.

La prevenzione attraverso l'inclusione è possibile?

“Credo molto nel dialogo, nell’intercultura. Bisogna conoscere le culture e integrare le persone, ma l’integrazione deve essere reciproca: io vengo, mi integro in questo Paese, ma anche il Paese deve creare nuovi spazi mentali e fisici. Così possiamo lavorare insieme. Ora sto lavorando con l’ambasciata pakistana, che ha una voce autorevole per parlare con la comunità, però ci sono delle associazioni religiose che cercano di monopolizzare il dialogo. Bisogna creare delle associazioni laiche di ragazzi pakistani di seconda generazione che possano contrastare il problema del matrimonio combinato forzato. Penso che anche la legge italiana in tal senso non sia molto severa: bisognerebbe rivederla, perché il rispetto delle culture è sacrosanto, ma quelle culture che non rispettano i diritti umani vanno contrastate. Non solo i matrimoni combinati forzati, ma anche poligamia e infibulazione: sono pratiche religiose e culturali di alcuni Paesi, che calpestano i diritti della donna e i diritti umani, oltre che i diritti del fanciullo. A volte queste ragazze spariscono in età scolare e riappaiono sposate con un cugino”.

Cosa si può fare in Pakistan per la condizione delle donne?

“La risposta è nell’istruzione. Lì l’istruzione manca, la media dell’analfabetismo in Pakistan è del 60%, per le donne si sale all’80%. L’istruzione è un’arma per cambiare il mondo e tutelare i diritti umani. Noi non abbiamo avuto l’Illuminismo, la Rivoluzione Industriale e la democrazia: siamo venuti qui, in un Paese democratico che ha compiuto questi passi da gigante verso la modernizzazione. Per i 5 milioni e mezzo di immigrati serve integrazione, traduzione delle leggi e delle abitudini di convivenza in vigore in Italia”.

Si è fatto promotore di un'associazione per il contrasto dei fenomeno come matrimonio forzato e infibulazione.

“L’associazione si chiama ‘Trono del pavone’. Stiamo provando a unire le forze.

Con noi c’è il numero 1522 del Ministero per le Pari Opportunità e alcune associazioni femministe, per creare una rete e salvare le donne. Anche l’ambasciata italiana a Islamabad deve essere istruita e pronta ad aiutare le ragazze che arrivano in Pakistan con un inganno”.

Commenti