Focolaio nell'ospedale "Vito Fazzi" di Lecce, dove in diversi reparti si contano medici, infermieri e Oss (operatori sociosanitari) positivi al Coronavirus con una buona parte del personale che resta a casa, mentre chi è in servizio è stremato. In molti casi si è costretti a chiudere o ridurre i servizi assistenziali.
Nel pronto soccorso l'attività ambulatoriale è ridotta di un terzo. Restano invariati però i 200 accessi giornalieri, ma gli ambulatori per i codici verdi che sono i più numerosi, sono passati da due a uno, quelli destinati ai codici rossi e gialli, i più gravi, si sono ridimensionati da tre a due. Chi è in servizio deve sopperire alle assenze dei colleghi e non riesce ad avere il giorno di recupero, lavorando anche sui rientri. Su ventiquattro medici ne sono contagiati sei, quattro infermieri e un operatore sociosanitario sono gli altri casi positivi del pronto soccorso.
Chiuso il reparto di urologia dove sono tre i medici contagiati insieme ad un Oss, così la nefrologia che ha sospeso in via momentanea i ricoveri per sottoporre tutto il personale e i pazienti al tampone, dopo aver riscontrato la positività al Corona virus in un infermiere.
Infermieri positivi in cardiologia e negli infettivi dove sono a casa anche medici. Restano però soprattutto gli Oss a rischiare maggiormente il contagio, occupandosi dell'igiene dei pazienti. "Sto vivendo contando le ore, mettendo in conto che prima o poi toccherà anche a me", ci dice un'operatrice sociosanitaria venuta in contatto con un collega positivo prima e poi con una paziente entrata negativa, ma rivelatasi successivamente positiva al virus. Troppo tardi per impedire all'operatrice ospedaliera di pulirle il volto, tenerle il capo durante un esame, esponendosi così al rischio di contagio.
La donna era tra i venti degenti contagiati e ricoverati nella medicina. E' risultata positiva dopo aver stazionato nell’astanteria del pronto soccorso. Tutto sembra riportare lì nella stanza dove vengono momentaneamente collocati i pazienti prima di essere destinati al reparto di riferimento. Un ambiente buio, stretto, umido dove soggiornano persone positive e non, senza alcun distanziamento di sicurezza per assenza di spazi. Non c’è sino ad ora un pronto soccorso Covid dove tenere isolati i casi dal resto dell’utenza che accede all’unico pronto soccorso. Così il rischio di diffondere il virus dal piano terra agli altri reparti dell’ospedale è concreto.
Rabbia e paura alimentano gli animi di chi ogni giorno si reca in ospedale per lavorare. "Non é ammissibile che dopo due anni dalla prima emergenza sanitaria, stiamo peggio di prima", si sfoga a IlGiornale.it una dottoressa inferocita soprattutto perché si tratterebbe di esporre lei e tutto il personale ospedaliero a rischi evitabili. "Prima non si sapeva come gestire l'emergenza Covid, ma adesso si e a distanza di due anni – continua un altro dipendente - mancano ancora i percorsi pulito e sporco". Da tempo gli ospedalieri lamentano una mancata programmazione tenuto conto che la possibilità di trovarsi con la stagione fredda con la ripresa del Corona virus c'era e gli amministratori della sanità avrebbero avuto tutto il tempo per arrivare più preparati, mettendo in sicurezza malati e personale, invece ...
Invece a luglio scorso l'Asl ha chiuso il pronto soccorso Covid che era collocato nel Dea di Lecce, accanto all’ospedale ma separato. Si é deciso quindi di non rinnovare i contratti ai medici e agli Oss assunti a tempo determinato per la pandemia, sguarnendo non solo il pronto soccorso, ma diversi reparti di figure che oggi sarebbero preziosissime per mantenere aperti servizi Covid o sopperire alla mancanza del personale contagiato costretto a casa. "Ci sarebbe piaciuto dire la nostra – ci dicono i medici del pronto soccorso - a chi doveva adottare delle decisioni". Loro avrebbero chiarito le difficoltà di lavorare con personale insufficiente, l’esigenza di lasciare aperta una medicina d’urgenza come zona grigia per i casi sospetti, invece è stata chiusa come tutto il pronto soccorso Covid. Avere oggi quei servizi significherebbe per il personale evitare che in piena diffusione Omicron tutti debbano condividere lo stesso ambiente in mancanza di spazi, significherebbe impedire al virus di diffondersi in corsia tra un paziente e un altro, per arrivare ai medici, infermieri e operatori sociosanitari.
Si corre ai ripari nel “Vito Fazzi” dove pochi giorni fa si sono conclusi lavori in alcuni reparti per realizzare percorsi pulito - sporco, ancora dopo due anni dalla prima emergenza sanitaria, si é visto qualche settimana fa il direttore sanitario dottor Maiorano effettuare un sopralluogo con un ingegnere per valutare il da farsi, mentre si susseguono le riunioni in Asl dove si sta valutando di tramutare l’attuale pronto soccorso, in servizio Covid e aprire un secondo pronto soccorso pulito nel Dea, il che richiederebbe altro organico attualmente carente. L’idea dell’Asl è di impiegare i medici delle Usca sperando che accettino.
Nel frattempo che si cercano soluzioni, gli ospedalieri hanno imparato a proteggersi sottoponendosi a tampone di tasca propria, ogni settimana senza aspettare i canonici quindici giorni dell’Asl, tutti hanno imparato a vestirsi con le tute e i dispositivi di protezione anche se in ambienti teoricamente no Covid e chi può si tiene lontano dai familiari. Come Laura, infermiera, che da prima di Natale non vede i suoi fratelli e la mamma di 83 anni. Due giorni fa l’ha chiamata per chiederle di passare a farle una puntura perché bloccata con la schiena, Laura però ha detto no a malincuore.
Ha paura – ci ha detto – di entrare in casa di sua madre senza sapere cosa sta rischiando "continuo ogni giorno a stare in contatto con positivi e sto pensando che ormai si tratta di ore, ma mi positivizzerò anche io".
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