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Quella libertà ghigliottinata nella Francia neo-maoista

Quella libertà ghigliottinata nella Francia neo-maoista

Esiste ancora la libertà di parola? In Italia c'è da dubitarne. Ma in Francia si direbbe ve ne sia ormai molto poca. Ebbene sì: il Paese dei droits de l'homme è proprio quello che, in nome della «tolleranza» e per difendere dall'«odio» mette in galera chi esprime la propria opinione. Ultima, più autorevole vittima, è Eric Zemmour, saggista e editorialista tra i maggiori intellettuali conservatori nel mondo, vendite da decine di migliaia di copie. Per le sue posizioni di denuncia dell'immigrazione incontrollata e della deriva islamista di molti territori francesi, già in passato è stato cacciato dai media a cui collaborava, finendo anche per essere trascinato in tribunale. In galera per quel che scrive? È la Francia di Macron o la Cina di Xi Jinping? Fin dagli anni Novanta i governi di sinistra, con la compiacenza del presidente Chirac e il disinteresse del suo successore Sarkozy, hanno introdotto un dispositivo legislativo che punisce con multe e con carcere chiunque sia accusato di affermazioni razziste e «islamofobe», mentre l'ultima stagione hollandista e macroniana vi ha aggiunto i reati di sessismo e maschilismo. Sta di fatto che oggi basta un'associazione di quattro gatti che sporga denuncia per rischiare un processo: oltre a Zemmour, il caso più noto è stato quello a Alain Finkielkraut. E non solo per affermazioni sulla carta stampata e sugli old media; il sociologo, sovranista di sinistra, Laurent Bouvet, la scorsa settimana è stato denunciato per avere re-twittato un'immagine giudicata razzista da un'associazione islamica. Il recente caso di Zemmour è però un ulteriore salto verso l'abisso. Anche perché pare essere strumentale più che in passato. Lo scrittore ha infatti partecipato lo scorso sabato alla Convention de la droite organizzata da Marion Maréchal: intenta a creare una grande destra conservatrice facendo incontrare lepenisti e neogollisti. Zemmour vi ha tenuto un discorso rigoroso contro l'immigrazione incontrollata e contro la deriva islamista: niente di molto diverso da quanto scrive settimanalmente sul Figaro e di quanto dice nei programmi radio. Solo che ora questa Convention deve dare fastidio al potere. A quello politico, visto che subito dopo il discorso di Zemmour, il primo ministro Philippe lo ha attaccato duramente, pur senza citarlo. Passa qualche ora e la procura di Parigi, collegata più di altre al Guardasigilli del governo, apre un'inchiesta per «razzismo». E deve infastidire il potere mediatico-intellettuale progressista: Le Monde di ieri ha scaricato addosso a Zemmour un editoriale di stile maoista, in cui si chiede a tutti i media, giornali, tv e radio, di non ospitare più lo scrittore e a nessuna casa editrice di pubblicarlo. La morte civile, la miseria e, in prospettiva, pure la galera, per avere sostenuto qualcosa di non molto diverso da quello che aveva detto l'ex ministro degli Interni di Macron, prima di dimettersi: o di quanto ha affermato lo stesso Macron nel discorso sull'immigrazione di una settimana fa. Philippe De Villiers, che si è offerto di finire in carcere assieme a Zemmour se condannato, ha parlato di «deriva totalitaria». E a ragione: silenzio su media e giornali compreso Le Figaro, invece grande sostegno della rete, che non a caso Macron vuole «regolare». Ormai in Francia la libertà di parola è in pericolo. Per evitare che queste acque torbide esondino anche da noi (e segnali ve ne sono, eccome) dobbiamo tutti urlare: #jesuisEric Zemmour.

E sperare che il carattere strumentale e violento di questa caccia alle streghe produca una reazione nel corpo vivo, che ancora c'è, dell'Esagono.

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